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Visualizzazione dei post da settembre, 2014

LA COSCIENZA

Mi mettono così soggezione gli animali. Tanto mi preoccupano che davanti al vetro che ci separa indietreggio, non per paura ma per non incrinare il mistero. Ora che anch'io ne ho tre, ritrovo nei loro sguardi, in tutti gli sguardi, di ogni specie, il brivido di un contatto aleatorio, fatto di tristezza, direi, e di dignità. Per quanto possiamo sforzarci, resteranno segreti fra noi. Torno al Parco Zoo di Falconara, così prezioso per noi. Mi confonde la scimmia che mi scruta curiosa, mi conquista il suricato che si rizza sulle zampe, mi strega il lupo solitario e malinconico, mi terrorizza il puntino selvaggio nella luce gialla degli occhi del leone, mi sconvolge l'immensa testa della tigre, la morte così vicina a me. Poi arrivano gli umani, e tutto va in frantumi. Commenti idioti, schiamazzi, smorfie mostruose e gli animali vanno via, infastiditi, compatenti. Una magnifica lince, venuta a curiosare, mi regala un brivido inestimabile: confusa forse dal mio cappello, mi fissa

ADESSO CHE NON MI FREGA UN CAZZO

Quanto non mi piace la Stazione di Milano, cosa è diventata. Persa completamente l'atmosfera frenetica e dissoluta che insinuava da fuori, grondava dalle edicole coi libracci improbabili, trascinata dall'umanità più ambigua quando la scopri trafelata, la Stazione col Museo delle Cere, mai visitato, mai osato, cupo mistero, simbolo, imbuto e quintessenza. Adesso è una immane Farinetti-extension, con quel Feltrinelli a tre piani pieno di stronzi sussiegosi che fingono di leggere, le commesse sudamericane sgarbate, il megastore Feltrinelli sopra dove ti senti inutile, il centro commerciale sotterrato dove ti senti in trappola, una sporcizia anodina, trasparente, insapore la Stazione di prima almeno bordello che traspirava. Qui sterile tutto, non trapela niente, non passano i bambini sfiniti su cartoni. Tante cose mi ricordo (chissà se sono vere) tra i viaggiatori, tra i marciapiedi mentre mio padre aspettava esotici clienti, da Venezia, da Roma. Tante sere col mio buon amico

UN PICCOLO FUOCO

Ti vendo le mie parole Per niente te le regalo Mi darai quello che hai Un momento... Se mai ti canto le stelle Quelle che ho preso e che ho perso Sera per sera in un posto Diverso... Tu lo potresti pensare Che le portavo nel cuore Fiaccole per non morire La sera?... Vieni ti spiego cos'era Che da quel mare d'amore Tremule luci pescava Di voci... Ora ce n'è un cimitero Croci leggere fra le onde Io non le conto se scende La sera... Fermati, non andar via Ho acceso un piccolo fuoco Fermati ancora per poco Ti prego... Ora sei tu la mia stella La sentinella che sventa Stille invadenti sul volto La sera

Who, il ritorno con Be Lucky - CULTURA

Who, il ritorno con Be Lucky - CULTURA

STUPENDO

Salgo come su un sogno Le maniglie già impugno E i sedili di legno Dove stai con ritegno... Quegli odori d'incanto Se fuori passa il mondo Stupendo è ritrovarmi Nel gran cuore sincero Di questa mia città Chiuso qui prigioniero Del tram dove davvero Io ci ho lasciato il cuore Partiva dalle scuole E dentro il centro arriva Ancora, come allora Scricchiola, un po' traballa Forse avrà la mia età Arancione poesia Che oscilla per la via D'una pista di ferro E suona il campanello Che annuncia la fermata Il biglietto si acquista Per la piccola gita Là dove son cresciuto Perduto nei colori Di tutti quei quartieri Che adesso son diversi Eppure li attraversa Come una vita fa Il tram che non lo sa Io quanto l'ho rimpianto Mi metterei al comando E come dentro un guanto D'amore resterei Finchè scende la sera E un'altra corsa intera In me stesso farò Nel ricordo di chi ero Ritrovato, perduto Fra la gente mia vera Così bella, più pura

IO ME LO RICORDO BERSANI

Erano giorni difficili, tanto per cambiare, per la patria e l'agenzia con cui collaboravo mi spediva a sentire i comizi dei cosiddetti leader. Chiacchiere, as usual, però qualche spunto marginale di interesse si ricavava. In particolare, ad ascoltarli di persona, emergevano assai più chiare rispetto ai resoconti propagandistici dei giornali le differenze tra questo e quel candidato. Renzi, per esempio, era un chiacchierone che dava l'impressione di correre sulle parole in modo che nessuno potesse davvero capirlo. Bersani era più argomentativo, più lento, vecchia scuola, all'apparenza convinceva di più. Solo che Renzi, nel suo modo frenetico, aveva capito che la situazione era tragica per davvero e non si poteva (non si può) più reggere sull'assistenzialismo, sulla politica dei diritti acquisiti, che i tagli bisogna pur accettarli, la tassazione deve pur scendere, cambiare si deve. Bersani no. Lui voleva “più” di tutto: più pubblico, più stato, più statalismo, più s

IL FARO 34/2014

Tutto dentro.  Spedito in allegato email agli abbonati da sabato 20 settembre

MA ANCORA C'E' CHI UCCIDE IL MERITO

Leggo sul Corriere un articolo di una analista dell'Ocse, certa Francesca Borgonovi, e trasalisco: bocciare, sostiene l'analista, non serve a niente e si traduce in un costo per il sistema Paese. Se le analiste Ocse sono di questa stazza, siamo a posto. Mi par di tornare alla ideologia “non”, che non era una forma di teatro orientale ma un'accozzaglia di trovate surreali, puntualmente applicate e delle quali non finiamo di portare le croci: la follia “non” esiste, esiste l'alienazione capitalistica, una sana società cambogiana o peruviana e tutto va a posto; il lavoro "non" esiste, è sfruttamento, però esiste il salario; il mercato “non” esiste, esiste lo Stato imperialista delle multinazionali (da sbaragliare con dosi massicce di lotta armata); il merito “non” esiste, non deve esistere - questa la ripete tuttora Vendola, che notoriamente non conosce vergogna -, la scuola non deve selezionare “classi dirigenti” ma fare evolvere tutti secondo i dettami di

CONVIVERE CON NOI STESSI

È sempre bello rivedere un Montalbano. Perché è uno dei pochi, forse l'unico prodotto di fiction fatto bene in Italia e perché, a distanza di pochi anni, ti senti già uno storico, sei in grado di soppesare diversamente certe uscite figlie di una attualità appena sfiorita. Ieri, per esempio, Camilleri ha messo in bocca al commissario, di passata, una lamentazione per un Paese “dove un ministro ha appena detto che bisogna andare d'accordo con la mafia”. Sentita così, faceva effetto quella frase infelice, vieppiù disgraziata nella bocca di un ministro, di un politico. Ma il fatto è che, in bocca ad un ministro di Berlusconi (Lunardi), servì a fargli dire quello che non diceva e cioè che lui, a nome del governo, privilegiava l'opzione mafiosa anzi ne era sedotto, stregato. Col tempo, altri più illuminati moralisti di sinistra hanno detto la stessa cosa e nessuno s'è stracciato nessuna veste. Ma guardiamo all'oggi. Ad Agrigento, proprio nella Sicilia di Montalbano (

L'URLO

L'urlo fiero non imbavagliare Chiediti se mai da dove viene Come il sole, questo immenso tuorlo Che indomabile sorge dal mare Quella luce non annuncia vita? Non è l'urlo di un'altra giornata? Non ucciderlo, non condannarlo Cerca di capire la sua voce La sua gioia, la follia infantile Dalle stelle di farsi ascoltare C'è più vita in lui che in mille bombe Nelle trombe su Jerico a pezzi Nell'odiosa sferica freddezza Di chi non si perde o si scompone Anche un sordo, credici, può urlare Con la bocca, gli occhi, con i gesti Isterici, già, ma ha solo questi Affidati al vento e tu lo senti L'urlo si ribella alla pazienza Alle stanze dell'indifferenza E' così che comincia il cammino Nel primo respiro d'un bambino E nell'agonia di chi va via E ci sono urli silenziosi Cicatrici sulla pelle stese Lebbra antica d'ignote torture Sopportate forse a labbra chiuse Ci si arriva sai, senza più scuse S

Battiato ritorna alla sperimentazione - CULTURA

Battiato ritorna alla sperimentazione - CULTURA

IL FARO 33/2014

Dentro tutto

MELASSA P

In Italia ogni trasgressione dev'essere formato famiglia, ogni stecca rientrare nel coro, ogni critica essere costruttiva, ogni stroncatura risolversi in un elogio, ogni bicchiere essere mezzo pieno. Non c'è gusto in Italia ad essere carognoni. Tutti sentono il dovere di giustificare e giustificarsi, in giro è tutto uno svolazzare di insulti, offese, volgarità ma a cuore in mano e comunque a lieto fine. Non ci si può semplicemente sbattere i coglioni di questo o quello, salta subito fuori l'ipocrita di turno che se ne scandalizza (grillino, magari: la decenza non è contemplata). Tutti debbono salvarsi il culo col Padreterno. Perfino i terroristi, da noi, stendono lenzuolate di parole per spiegare perché e percome hanno ammazzato qualcuno, e comunque non accettano di essere chiamati terroristi. Guerriglieri sì: ma a fin di bene. I cantanti trasgressivi, invecchiando, fanno ridere. Renato Zero da trans era una persona seria, poi s'è messo a cantare ave Marie rivedute

VIA ADELCHI

C'era una via che ti dicevano di stare lontano ma era impossibile. Chi conosce Lambrate se la ricorderà, via Adelchi. Così esagerata con quel nome medievale, letterario in trenta metri di vecchia Napoli tutta diroccata, malnata, suggestionabile. No, non si poteva farne a meno per quanto era bella e perché comodissima, passaggio obbligato tra le arterie di via Porpora e via Vallazze. Mai capito come potesse essere pericolosa un ponticello tra due sponde trafficate e normalissime, piene di botteghe, di famiglie ma in effetti metteva un po' paura ed è per questo che ci vado, rimiro ogni angolo, fiuto dappertutto come un cane, piscerei contro i muri se potessi. C'era ricordo un ufficio postale sempre farcito di varia umanità e poco dopo sfociava d'angolo all'altezza dell'International Shop, che era la nostra jeanseria da terroni, da tamarri. Non mi ha mai deluso via Adelchi, estate e inverno aveva sempre nuovi fantasmi da propormi. Sempre gioia. Forse per la fo

DI SABATO

Perché di sabato era sempre festa anche se si andava a scuola? Perché fuggendo dall'ultima campanella ci si sentiva di andare incontro a una vacanza infinita? Perché tutto sembrava nuovo, anche l'aria? Perché il quartiere era diverso anche se non cambiava niente? E perché la gente aveva fretta di perdere tempo, e i bottegai non vedevano l'ora di chiudere anche se niente li attendeva? Perché, se c'era il sole, a settembre pareva più estate che a luglio, e andare a giocare a pallone dava una libertà infinita? Perché era così bello ascoltare la radio di mattina? E il mercato, che ti stufava appena entrato ma non potevi fare a meno di tornarci ogni sabato? Ma, soprattutto, come si poteva andare al mercato di mattina se c'era la scuola? Tante cose non le ricordo, tante si agitano confusamente in me. Ma so una cosa, che quel sapore di sabato adesso non c'è più e chissà se è colpa del sabato o colpa mia. So che adesso sabato è come domenica che è come lunedì e pri

Fermano: tra crisi, violenza e criminalità - CRONACA

Fermano: tra crisi, violenza e criminalità - CRONACA

GLI ANIMALI SONO LORO?

La faccio corta, ma insomma ho notato una cosa. L'animalismo non è più di sinistra – oppure, se preferite, la sinistra non è più animalista. Non che lo sia mai stata davvero: ogni valore perseguito dalla sinistra è sempre stato puramente strumentale, cioè ipocrita – laddove la destra ha risolto ogni problema di coscienza disinteressandosi di ogni valore, e vantandosene. L'orsa Daniza, questo animale estraneo alle scempiaggini umane e tuttavia imponente capro espiatorio, viene derisa in ragione degli eccessi mediatici. Come se fosse colpa sua, coi suoi occhi che guardano dalle foto e non capiscono il destino che la attende. Ma io non ho mai visto un'orsa farsi intervistare dopo che le hanno sterminato la famiglia, mentre qui c'è gente preoccupata soltanto di non ritrovarsi nelle opinioni di Ferrara, Gasparri e la Brambilla, ci sono opinionisti che si rifugiano nel solito angolo dei bambini che muoiono, questa volta in Siria (l'Africa, per il momento, non tira).

NON RESPIRAVO

Già era una di quelle giornate maledette, dove tutto è prigione e sconfitta, in più mi son messo in testa di tornare in comunità, a trovare Bruno che m'aveva promesso il suo libro fresco di stampa. Bruno, che esce due volte in un anno dalla sua stanza, non c'era. Non ho trovato neanche quasi nessuno di quelli con cui avevo speso il mio anno da obiettore, un quarto di secolo fa. I pochi rimasti, distrutti, annientati. Giuliana, che non stava mai ferma, mi arrancava contro su un girello. Mi ha riconosciuto, mi ha detto: “Ciao”. Tonino, il down dolcissimo, ironico, che avevo anche accompagnato fino a casa sua, a Secondigliano, a Napoli, ridotto enorme pianta senza fronde e senza radici sul seggiolone. Roberto mi ha chiesto: “Torni domani?”. Di colpo ho ritrovato l'orrore per il dolore, il suo rifiuto che in quell'anno avevo imparato ad assorbire. Qui ero cresciuto, avevo scoperto come convivere con la sofferenza e l'ingiustizia e a medicarle anche. Qui ero stato q

APOCRIFO

Dunque c'è una adolescente che sta con un vecchio ma senza malizia (tipo ragazzina di “Non è la Rai” con Boncompagni), eppure un giorno si accorge che qualcosa non va: arriva un angelo e le annuncia che è incinta, “Inche?”, risponde la candida, “Incinta, su, sveglia!”, si spazientisce l'angelo. Perché è un angelo, ma questa farebbe perdere la pazienza a un santo. Lei si rassegna. Dopo nove mesi arriva il bimbo. Viene partorito in una grotta a 12 sottozero, lo scaldano a fiato un bue e un asino, poi tre re strafatti si sparano, a piedi, guidati da una cometa, ma forse era una scia chimica, migliaia di chilometri per portargli doni del tutto inutili: fumi, vapori, polveri, anche d'oro. Un completino no, eh. Il bambinello, già avvezzo ai miracoli, sopravvive, cresce, scampa una nutrita serie di pericoli senza neanche la scorta di Saviano, litiga con dottori e giornalisti molto prima di Twitter quindi si dà ai prodigi, in particolare convince, probabilmente grazie a peyote

IL FARO 32/2014

Non del Faro. Il Faro l'eterno ritardo lo vede, lo racconta, lo commenta. Il Faro, puntuale ogni sabato nella casella di posta elettronica di chi si abbona. Il Faro, di più liberi non ce n'è. 

Battisti, mito senza eredi della musica italiana - CULTURA

Battisti, mito senza eredi della musica italiana - CULTURA

LUCIO-AH

E respirandolo, da allora, io, tu, noi, tutti fummo altro, e adesso siamo così. E quando conquistavamo il motorino, ci piaceva infilarci nei budelli sordidi della città per poterne fuggire rintanandoci in casa con una cassetta di Battisti: giravamo il nostro film, la musica c'era già. E lo seguimmo nelle sue fughe indisponenti, dopo, quando non voleva più emozionare “perchè costava”, perchè si sentiva tradito, il suo genio lo aveva scaraventato nella paranoia ma lui restava un albero da frutto musicale e qualsiasi pasticcio combinasse ti arrivava all'anima. Ci bastava la speranza, Lucio, la speranza che prima o poi tu tornassi... Ma tu eri un maestro di sentimenti mai sentimentale, eri una persona dura e profonda, e da uomo duro e profondo te ne sei andato, senza cercare consolazioni, coerente fino in fondo a quello che avevi detto una volta: “So benissimo che mi cercate finchè avrò succcesso, dopo nessuno si ricorderà più di me”. Qui ti sbagliavi. Ci sottovalutavi. Noi no

Musica: Moby, «Innocents» è l'album della maturità - CULTURA

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Corea del Nord: la storia di Shin Dong-Hyuk, sopravvissuto ai lager - FATTI

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FOGLIE DI ME

Mio malgrado rivivo, rivivo. Anche morendo, rivivo. E rivivere è più che vivere, è concentrare allo spasimo la sensazione persa. Svanita come la mia città, che nessuno più di me può avere dentro. Perduta come il tempo, che nessuno più di me sa custodire. Andata come la mia età, fatta di ritorni, mai spesa accontentandomi di niente eppure sorvegliata ogni giorno, ogni notte. Ogni ora. Rivivo, rivivo. Nelle pieghe dello sgomento io rinasco. Nel rosario di ritorni, riesisto. Nella via crucis di traumi risorgo. Giorni fa è partito l'amico più antico ed io mi sono incupito, ero di nuovo solo, come nei fine estate buttati della gioventù. Ero di nuovo inerme contro l'inverno che viene. Rivivo il rientro che non ho, il sapore del mondo ritrovato, per primo di nuovo nel quartiere, esule stordito finché una mattina le finestre degli altri si sollevano, rivivono una per una e al citofono la voce un po' seccata un po' rassegnata delle madri: siamo appena arrivati, adesso scend

LA CRISI, IL MIO BLUES DEL XXI SECOLO

“La Crisi – Storie dalla fine dell'Italia” è il monologo (e quindi anche l'ebook) che volevo scrivere. Penso sia la cosa che più cercavo, da tanto tempo – come uno sfogo che chiedeva di uscire, e sono contento d'essere riuscito a renderlo con queste parole. Tema difficile, anche tragico, e non volevo numeri, cifre da telegiornale. Volevo vita. Che si spegne, che non accetta di svanire, che reagisce o subisce, comunque vita. Sono racconti di episodi reali, inframmezzati da intermezzi – è proprio un lavoro teatrale. E in teatro lo porterò, in anteprima a San Ginesio il 25 di ottobre. Un monologo, ma anche una sorta di reading estemporaneo. Sul crinale, direi. Qui davvero non ho badato a spese, e scrivo, e parlo, per tutti quelli che mi hanno scritto in questi anni, confidandomi, affidandomi le loro difficoltà, a volte senza sconti il loro dramma; e scrivo, e parlo, per me, con la sincerità più brutale che posso. Qui non c'è finzione che diventa realtà, ma una realtà

CLEO (la sa lunga)

Ancora una volta, è Superquark: protagonisti i miei gatti, che non smettono di stupirmi con deliziose sorprese. Insomma capita questo affarino, questo scricciolo di venti grammi in mezzo alla via: ha seguito alcuni ragazzini fin qua, poi ci ha visti e praticamente mi è saltata in braccio: lo so che ho detto basta, non posso prenderne più, le cose non vanno bene, siamo già oltre il limite, però che faccio, la lascio morire tra i pericoli e gli stenti della strada? E allora, dopo mille dubbi, mi risolvo a tenerla nel garage almeno per qualche notte, sentita la veterinaria. Pulita, allegra, fiduciosa, temporali di fusa: non mi pare possibile che qualcuno l'abbia abbandonata così, ma la veterinaria, la mattina dopo, confermerà: questa è stata fuori una notte, non di più; troppo sana, troppo a posto, non una pulce, il pelo bianchissimo anche sulle zampe. In macchina giocava, era la felicità fatta gatta, ha fusato perfino quando mia moglie le ha fatto un selfie. Non aveva un nome: a

MISTERI DOLOROSI nuova edizione 2014

"Avevo letto la prima edizione, ho subito scaricato questa nuova. Più scritta, più calibrata, ancora più scorrevole. C'ero anch'io in quel quartiere di Lambrate e, complimenti alla tua memoria chiurgica, mi è sembrato di rivivere tutto: andò proprio così, anche se certe cose non le sapevo e le ho scoperte solo adesso dal tuo ebook".  Lucio C., Milano Nuova edizione aggiornata al 2014 disponibile su AMAZON SMASHWORDS e su tutte le piattaforme digitali