Erano giorni difficili, tanto per cambiare, per la patria e l'agenzia con cui collaboravo mi spediva a sentire i comizi dei cosiddetti leader. Chiacchiere, as usual, però qualche spunto marginale di interesse si ricavava. In particolare, ad ascoltarli di persona, emergevano assai più chiare rispetto ai resoconti propagandistici dei giornali le differenze tra questo e quel candidato. Renzi, per esempio, era un chiacchierone che dava l'impressione di correre sulle parole in modo che nessuno potesse davvero capirlo. Bersani era più argomentativo, più lento, vecchia scuola, all'apparenza convinceva di più. Solo che Renzi, nel suo modo frenetico, aveva capito che la situazione era tragica per davvero e non si poteva (non si può) più reggere sull'assistenzialismo, sulla politica dei diritti acquisiti, che i tagli bisogna pur accettarli, la tassazione deve pur scendere, cambiare si deve. Bersani no. Lui voleva “più” di tutto: più pubblico, più stato, più statalismo, più scuola, più enti locali, più finanziamenti ai suddetti, più partiti, più lavoro, più diritti e l'Europa era il bengodi bastava funzionasse, testuale, “come una cooperativa socialista”. La colpa di tutto era, naturalmente, di Berlusconi, “che non è neanche in panchina, è nello spogliatoio, e ce lo lasceremo”. Questo si sta fottendo da solo, pensai. Il Segretario era cupo, quel grigio pomeriggio di novembre, era lugubre come un figlio naturale dell'apparatchick ma pur sempre tronfio: ripeteva di continuo “quando sarò presidente del Consiglio”, annunciava di ripescare il genio della finanza Monti, benché dandogli una regolata; aveva una ricetta per tutto. Solo che non specificava mai a quale prezzo. E non lo specificava perché non poteva, il prezzo consistendo in un solo costo: più fame che pria, più tasse che mai. Renzi, leggero quanto volete, si poneva il problema: e passava per berlusconiano, offesa somma. Bersani lo rimuoveva, e correva dietro a Vendola, uno che mi ricordo fece un comizio di tre ore cianciando per tutto il tempo di “bambini come violini”, di “nuvole” e di “Pafolini”. L'apparenza ingannava: tra i due, contrariamente a quanto si sostiene, il meno concreto non era il toscano alla panna. Era il piacentino col sigaro, che adesso diversi sciagurati della nomenklatura vorrebbero riesumare. Ad minora, as usual.
i diritti acquisiti, che in molti casi sono privilegi e basta, stanno uccidendo l'economia di questo paese insieme alla alte tasse, spesso necessarie per mantenere proprio quei diritti/privilegi....i diritti dei perlamentari, dei consiglieri regionali, dei dipendenti pubblici, dei giudici, dei pensionati retributivi, dei lavoratori delle municipalizzate, dei notai, dei farmacisti, delle cooperative, dei dipendenti di RAI, Poste, Ferrovie, ,,,ecc ecc
RispondiEliminai diritti acquisiti li debbono sempre pagare i soliti che di diritti non ne hanno perchè se uno mangia pù del dovuto da un parte, dall'altra c'è uno che muore di fame o mangia molto poco, posto che le risorse in qualunque sistema economico non sono gratis e in abbondanza per tutti, ma devono essere ripartite
Davide, Milano
Tra i doveri da acquisire, invece, c' è quello di pagare le tasse, inosservanza/reato di idraulici, geometri, imprenditori, ristoratori ecc ecc. Com'è che la lotta all' evasione fiscale non è nell'agenda del bulletto toscano che ha usurpato il posto di primo ministro ?
EliminaGomblotto!
EliminaMa tutto questo Pigi non lo sa
RispondiEliminaE nemmeno gli elettori PD, secondo i quali Bersani andava votato perché "è una brava persona".
RispondiEliminavit
Segretaria inclusa, si capisce
RispondiEliminaMa Renzi e i suoi fanno parte del pd o della destra e Fassina fa parte del pd o di Vendola e insomma, allla fine, il pd che accidenti è ?
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