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LA CRISI, IL MIO BLUES DEL XXI SECOLO


“La Crisi – Storie dalla fine dell'Italia” è il monologo (e quindi anche l'ebook) che volevo scrivere. Penso sia la cosa che più cercavo, da tanto tempo – come uno sfogo che chiedeva di uscire, e sono contento d'essere riuscito a renderlo con queste parole. Tema difficile, anche tragico, e non volevo numeri, cifre da telegiornale. Volevo vita. Che si spegne, che non accetta di svanire, che reagisce o subisce, comunque vita. Sono racconti di episodi reali, inframmezzati da intermezzi – è proprio un lavoro teatrale. E in teatro lo porterò, in anteprima a San Ginesio il 25 di ottobre. Un monologo, ma anche una sorta di reading estemporaneo. Sul crinale, direi. Qui davvero non ho badato a spese, e scrivo, e parlo, per tutti quelli che mi hanno scritto in questi anni, confidandomi, affidandomi le loro difficoltà, a volte senza sconti il loro dramma; e scrivo, e parlo, per me, con la sincerità più brutale che posso. Qui non c'è finzione che diventa realtà, ma una realtà talmente cruda, assurda a volte, da indurre il rifiuto di sé. Io penso che lo dovevo, a me stesso e a chi verrà. Perché la crisi viene esorcizzata nelle statistiche, ma dire che chiudono mille fabbriche, aziende, negozi al giorno non rende l'idea. Non rende un cazzo. Sono mille famiglie, diecimila famiglie che si arrendono, che non sanno come fare, sono migliaia di follie e di disperazione e di sforzi che vanno in frantumi, di giorni che finiscono in schegge di vetro. Con dentro qualche speranza ostinata e insana, ma indomita. È un blues, dopotutto, questo monologo (naturalmente musicato). Perché il blues è il canto di chi non ha più lacrime, né parole, né niente da perdere. Ha solo l'orgoglio del dolore. Ed era davvero un dovere per me cantare questa “grande depressione” un secolo dopo, mentre i privilegiati e i cinici invitano a non arrendersi, a sorridere sempre, perché loro, i ruffiani, i raccomandati, i mestieranti, ce l'hanno fatta. Io non scrivo mai cose politiche, ma questo, in senso lato, e senza suggestioni ideologiche, è anche un atto politico. È una denuncia. La denuncia del blues. Spero che verrete in tanti a raccoglierla; spero che il teatro sia pieno, perché questa volta come non mai io me lo merito, e voi meritavate niente di meno che questo atto d'amore.

Commenti

  1. mi auguro di poterti vedere se passi dal Trentino o giù di li

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