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Visualizzazione dei post da novembre, 2016

CON QUESTA FACCIA

Ho notato che il termine "moralista" ha cambiato significato, adesso lo si usa per escludere, per marchiare a libera interpretazione, un po' come il "fascista" degli anni Settanta. Il moralista urbi et orbi non è più quello con la doppia morale, il bigotto che pubblicamente si scandalizzava delle attitudini praticate in privato, è scaduto a negativo del cinico: se uno non è disposto ad accogliere ogni genere di squallore, nefandezza o miseria, ecco, è un moralista; intendi: uno che non sa stare al mondo, che non lo conosce, che non ha mai provato niente nella vita, un sempliciotto, provinciale no perché oramai il conformismo sessuale-pubblicitario ha infettato anche quella, ma un povero di spirito sì. Si potrebbe dire che il moralista sta al perbenismo come il cinico al permalismo. Solo che io mi sento di recuperare il perbenismo, se "per bene" significa decente, educato, rispettoso della propria individualità così come di quella dell'altro;

L'ITALIA CHE SPROFONDA NELL'AZZARDO

L'ITALIA CHE SPROFONDA NELL'AZZARDO

QUEL CHE MANCA E' UNO SPECCHIO

Arriva una di quelle giornate non del tutto inutili, quella "contro il femminicidio" (grossomodo in condivisione col Black Friday), sacra battaglia che è importante per chi voglia entrare nel gioco della politica o avanzare di qualche casella. Se le giornate contro servissero ad altro, considerato che ne abbiamo 10 al giorno, avremmo risolto qualsiasi problema; invece i guai crescono e io difatti le Giornate le sostituirei tutta con una sola giornata, quella del "guardati allo specchio". Unisex, dai 9 ai 99 anni, interrazziale e così via. Significa non tanto assumersi le proprie responsabilità, che nella società delle pretese è diventato reazionario, quanto non barare. Ecco, basterebbe questo. La ragazza che si unisce col vecchio col doppio dei suoi anni, sa benissimo che prima o poi lei si stancherà e quello impazzirà e finirà nel sangue. La signora che coccola il compagno-infante, sa perfettamente che è una situazione squilibrata, che non può reggere. La adol

QUELLA LONTANA FELICITA'

L'Istat ha stabilito che per la prima volta in 5 anni gli italiani sono più felici e a me sale come sempre il sospetto della propaganda: vecchia storia, delineare i confini della felicità, nessuno ci è ancora riuscito, i criteri sono burocratici, cioè avulsi e strumentali, figli della contingenza. Parafrasando la polemica fra Benedetto Croce e Luigi Einaudi, direi che "la felicità è una cosa spirituale" e a questo punto non posso che rifugiarmi nel genius loci, nella zeitgeis, nello spiritus mundi. Ovvero nel nostro irresistibile dannato essere italiani, che comunque va sempre comparato: sarò invecchiato io, sarò inacidito e superato, ma l'unico periodo in cui ho respirato qualcosa di simile a una felicità collettiva sono gli anni Settanta: la gente era contenta di tribolare, di andare al mare, di allevare i figli e i figli, tutto sommato, di farsi allevare. Non è che non ci fossero i problemi, era solo diverso il modo di affrontarli, anche se già era partita

DISSE L'OMBRA

Non voglio essere quello che non vince mai, disse l'ombra schiacciata nell'asfalto. Non voglio, continuò, non avere un orologio perché non mi serve, non voglio essere quello che non vive mai. Non voglio essere un'ombra nella notte, una goccia nel mare che evapora, la schiuma del rimorso, le occasioni mai avute. Non voglio essere chi sarò e chi sono stato, senza essere mai. Io voglio cogliere un piccione bianco con l'ala spezzata e salvarlo, e dirottare la sua pena, vederlo volare ancora e sentirmi in cuore una tenerezza perduta, e disperata. Non voglio rinunciare a un Dio, voglio difenderlo nell'esilissimo filo di una buona intenzione, di una commozione, di un'attitudine. Non voglio essere quello che non combatte mai perchè sa di non poter vincere. Non voglio andarmene senza un raggio di normalità, il pretesto per una cravatta. Io voglio preparami a invecchiare da uomo non da ombra, non giovane perenne, non silenzio fragile. Voglio che il mio dolore sia s

NE' DALL'INTERNO NE' DALL'ESTERNO

Sulla faccenduola dei paraculi che praticherebbero "la lotta dall'interno", cioè danno addosso a Berlusconi in fama di tiranno ma non al punto da non farci affari, ho una expertise lunga come una quaresima: e fin da quando Berlusconi faceva paura sul serio, perché metteva le mani su tutto e non pareva avere chi lo contrastasse. Allora la battaglia era opportuna, anzi necessaria, ed io, con troppa ingenuità magari, non mi tirai indietro, in totale solitudine; ed era una battaglia non contro il Berlusconi in sè, quanto con i pagliacci virtuosi che facevano la fila davanti ai suoi uffici: tamburai, guitti, scrivani, eccetera, giù giù fino ad arrivare al fondo coi Wu Ming. Non ne mancava uno e io li punzecchiai tutti, prendendomi rimbrotti da ogni parte: da Travaglio, l'ultima volta che lo vidi "Mi dicono che hai attaccato Sabina...", ai lettori da centro sociale del Mucchio, fomentati dall'interno e dall'esterno, col bell'effetto che, per difen

ROCKY, DOPO 40 ANNI IL SUO INFINITO COMBATTIMENTO CONTINUA

ROCKY, DOPO 40 ANNI IL SUO INFINITO COMBATTIMENTO CONTINUA

FARO 41-42-43-44/2016

Ci dovremmo preoccupare per i drammi di chi ha scelto di distruggersi distruggendo gli altri? E che dire, allora, dei distrutti senza colpa e senza colpevoli, del loro sbandare adesso, della distanza tra chi continua la sua vita, lambito appena, e chi invece si ritrova esule, profugo, terremotato? E che dire, dei fanatismi che non sanno curare loro stessi? Ancora: breve ritratto di una santona, Vandana, che piace molto a questo papa. Truffe che si cominciano a riconoscere, come quella del riscaldamento globale, e farabutti che domani verrano graziati, di certo, e reinseriti, come quello che ha ucciso un carabiniere pensionato, un uomo dalla faccia mite, che ha avuto l'unico torto di incontrare un criminale strafatto. Due dischi da sentire, entrambi dal vivo, ma per ragioni diverse: Iggy Pop e i Rolling Stones a Cuba; e un libro da leggere, per diverse ragioni, "Sangue Occidentale, di due cronisti. Infine, un accenno, solo un accenno, alla sorpresa Trump. E allora...

Sting, nel nuovo album c'è solo rock sbiadito

Sting, nel nuovo album c'è solo rock sbiadito

UNA PAROLA

Una parola assorbita da internet, un suono, una scintilla di ricordo: sono ancora al 1991, fresco di laurea intuile faccio l'obiettore a Capodarco. Siamo in tanti quella tornata, una dozzina buona e neppure bastiamo perché arriva gente di continuo, scout che vogliono provare il brivido della solidarietà e non sanno fare niente, sfaccendati e sbandati in fuga da loro stessi o smistati da famiglie che non ne possono più di quei figli viziati e fuori di testa; ma anche ospiti, gente offesa dalla vita a nascere o da una febbre, da un accidente qualsiasi, che per i percorsi della sofferenza è approdata qui. Una mattina ci mandano in due o tre col furgone e aprendo ci sono cose, bagagli, e, in fondo, un fagotto rannicchiato: due occhi spaventati ci guardano, qualche imbecille l'ha sistemato e poi dimenticato lì come uno zaino. Mi metto a schiamazzare, che è una vergogna, che così non si fa, e lo zaino si mette a piangere con l'aria di pensare, sono capitato in un manicomio;

INCONTRO SU VIA PADOVA

Venne un tempo una da Milano, mi telefonò prima a nome mi pare di Biacchessi e voleva incontrarmi e ci incontrammo ai giardini di Civitanova. Trasandata, capelli crespi e aria consapevole. Ella m'interpellò sulla mafia nelle Marche, poi allargandosi il discorso finimmo su via Padova a Milano. "Via Padova è l'inferno", dissi io. Ella s'irrigidì: "A me non pare proprio". "Ma cazzo, se si staccano la testa dal collo tra africani e latinos, ma l'hai mai preso un autobus nell'ora di punta, pieno al 90% di arabi ubriachi che minacciano e i pochi indigeni che pregano il loro Dio terrorizzati a occhi bassi, li hai mai visti quelli che molestano le donne e pisciano a cielo aperto e tutto il resto, l'hai mai fatta una passeggiata notturna da Loreto fino a via Anacreonte, dove i nordafricani si sfidano a coltellate e nessuno barricato in casa si accorge se ci scappa il morto, perchè "Qui si fanno fuori tutte le sere"? Le hai viste o

LA STRONCATURA DEL NULLA

Torno sulla mostruosa stroncatura di Mariarosa Mancuso all'ultimo conato di Scanzi perché la faccenda va oltre il trascurabilissimo individuo, è emblematica, anzi sintomatica di una situazione generale che è incancrenita, una metastasi al buon senso e alla logica elementare. La Mancuso in effetti non ha stroncato Scanzi, ha fatto qualcosa di più simile a una demolizione. ma la demolizione del nulla. Esercizio in apparenza facile, in realtà quasi impossibile proprio per questioni sostanziali: come fai ad annichilire qualcosa che non esiste? Difatti lei, dopo avere riconosciuto la difficoltà di aggrapparsi ad una qualsiasi consistenza per applicare un criterio critico, se la cava, è costretta a cavarsela col sarcasmo e con cerchi concentrici di eufemismo, come quando invoca la possibilità di conoscere la storia di certi soggetti e come abbiano fatto a giungere a un editore. L'operazione della Mancuso è necessaria proprio perché la tendenza è invalsa ed è invalsa perché nessuno s

Cohen, il sole nero della musica ritorna nel buio

Cohen, il sole nero della musica ritorna nel buio

Usa, così Trump ha ucciso il politically correct

Usa, così Trump ha ucciso il politically correct

HAI FATTO BENE

La verità E' che siamo sconfitti Relitti senza denti, contenti del nulla Che abbiamo, cadenti Urla di vecchie case Piene di ombre, ricche Di mancanze E ricorrenze inutili Patetiche Decrepite La verità E' che ci annoiamo Coll'immenso vuoto stretto in mano Aride isole sterili di pianto Per l'eroismo d'un santo quotidiano Orfani di qualsiasi commozione Dello stupore d'un bacio, uno scudetto Il record dell'outsider contro tutto Il Pulcinella perfetto di Totò Il Geppetto struggente di Manfredi E ancora un altro concerto degli Stones Stiamo in piedi Senza saper che fare. Incerte Proiezioni senz'anima, cloni Di noi stessi, danze pornografiche In un mondo che è un albero di Natale Di luci stroboscopiche e truci, uno sbando Assurdo, incomprensibile. Inservibile Piante immobili, disperse in un deserto Di sorda solitudine annegate Deprivate d'un fato rinnegato Balliamo, ma che cazzo balliamo?

DITEMI

Ditemi che resta qualcosa In questa danza di rose trafitte In questa ridda di macerie inutili Dove sono caduti i nostri sforzi Ditemi che almeno son servite Le pagaie che canoe sospinsero Non fosse altro che un precipitato D'illusioni focaie da sfregare Ditemi che qualcosa rimane In questa stanza di segni delle mani Sulle pareti che impediscono il vento Sul sentimento di chi non si rassegna Ditemi che non è ancora morto il sogno Quando ci si desta e tutto piange E il vuoto dappertutto riempie i viali Di un tempo che usava essere vivo

NEL CONTAINER

Quello che non si pensa, che non si sa degli sfollati dopo un terremoto, è che non guariranno mai. Perché non c'è niente di più terribile che strapparli alla loro vita, il trauma è troppo grande, qualcosa che ti cambia e quando sei cambiato non ti ritrovi più nella realtà che ti resta, fosse pure ricostruita pezzo a pezzo. Tutto attorno a te si è sfaldato e c'è un momento che decide tutto: quando lasci, parti, vai via, quando chiudi per l'ultima volta la vita dietro di te. A quel punto muori, e le tue resurrezioni saranno solo pallide repliche di una esistenza che non hai avuto più. Sei uno che ha passato l'indicibile, e l'indicibile non si racconta: nessuno può capirlo. Sei uno che è precipitato in fondo al male, e i segni che porta addosso, dentro, nei suoi sorrisi, nei suoi gesti nessuna beatitudine potrà lavarli via. Sei la caduta del tempo di Cioran, l'esperienza del dolore in Gombrowicz, l'abisso dello sconforto da Leopardi, sei la fine cantata da

Sisma, cartoline dai centri delle Marche sbriciolati

Sisma, cartoline dai centri delle Marche sbriciolati

PRATERIE DI POESIA

Non portarti via sotto le stelle A cavallo di quello che è stato Alle lucciole consegna i morti Incubi, d'esistere hai diritto Basta alibi, Pierpaolo, ti prego Nel diniego della vita resta Sondare il mistero del dolore Lo puoi fare in tralice da altrove Bevi tu da un calice di vetri Trovi rose dove altri non osa Spogliati dei demoni su un prato Brullo da pallone e torna ancora Figlio del tuo sogno più segreto Solo impegno, praterie di poesia Il dovere di spiegare spegni Spugna d'eresie, meritano ombre Cuori sordi e disperdi per sempre I rimorsi all'anima dei morsi Non buttarti via, che non è tardi Fuggi quella pace atroce, bimbo Su quel campo tu sconfiggi il tempo Non contare i peccati del mondo Che li sconta respirando il cuore Smetti quelle notti rotte, feste Nere dell'orrore, adesso basta Alibi, Pierpaolo, al dolore Lascia i chiodi e amore addosso chiedi Ruba luce ai vicoli d'angoscia Varca l'impo

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Terremoto San Ginesio, racconto di un paese a pezzi

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