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Visualizzazione dei post da luglio, 2017

MONTALBANO, IL DOTTOR PASQUANO E L'ESSENZA DELLA SICILITUDINE

MONTALBANO, IL DOTTOR PASQUANO E L'ESSENZA DELLA SICILITUDINE

TUTTO APP E DISSERVIZI: CRONACA DI UN TECNOMONDO IMPOSSIBILE

TUTTO APP E DISSERVIZI: CRONACA DI UN TECNOMONDO IMPOSSIBILE

RIDATECI I VECCHI CONCERTI, LITURGIE EMPIE DA RICORDARE

RIDATECI I VECCHI CONCERTI, LITURGIE EMPIE DA RICORDARE

UN VOLO ALL'INGIU'

Io questo mio Paese non lo capisco più, mi sembra sempre più sospeso tra artificio e bestialità, lacerato in un futuro che non arriva, o arriva a stento, e un passato che non si sa neppure più ricordare. Da una parte quelli artefatti, costruiti, insopportabili nei loro atteggiamenti, negli snobismi provinciali, dall'altra chi si compiace della propria rozzezza, la maleducazione tronfia, sudicia. A volte, spesso, le due facce di una medaglia senza valore finiscono per coincidere. Ed io non riesco ad orientarmi, sospetto di farne parte, di appartenere anch'io a una genia che mi fa orrore: nondimeno mi fa orrore, e vivo non vivendo il Paese che anch'io sono, che condivido. Oggi mi veniva in mente tutto questo, fermo al semaforo: passavano le auto, ho fatto in tempo a vedere una giovane donna che guidava, sola, le gambe scoperte da una vestina leggera, corta, il portachiavi che batteva leggermente su un ginocchio, era la visione di una modernità eterna e consumata, se si v

VAUDEVILLE

Il volto di un gabbiano. Dico il volto Qualcosa, una brezza che entra piano Nell'ebbrezza di odii tutti uguali Voli rasoterra da maiali Di gente senz'ali, con il piombo Nelle ali. Il piombo del tempo Senza tempo, un attimo di gioia Quasi evasa da albe di risaia Fingere ogni rosa nelle torve Disperanze che all'altro vada peggio Ma che c'è di peggio che morire Come me tu dentro il videogioco Della vita che più non t'ascolta Del rosario di “c'era una volta...” Che riempie ogni vuoto di vuoto E di attesa e di vile impazienza Sulla inerme bambola di pezza Amarezza inerte che accarezza Quel tuo vaudeville che chiami orgoglio E così ogni sera altre due stelle Togli dal tuo cielo di petrolio Mentre cerchi il volto di un gabbiano Dico il volto. Un barbaglio lontano La sua scia che scivola sull'aria Di corrente correre in corrente Gli occhi sopra il mare senza cuore Senza pace eppure essere felice Nella vanità

LE FARFALLE MALATE

Questo bisogno di volare nonostante tutto, volare di carta ma far andare il cuore, e le parole, e le dita che disegnano pensieri sulla tastiera. Una corsa dell'anima. Anche se non ho niente da dire, se non voglio dire niente. Questo bisogno mi ha salvato quando volevo uccidermi. Mi salva sempre quando voglio sparirmi. Scrivevo per me, non sospettavo sarebbe arrivato un incantesimo per “condividermi” col mondo o con un solo lettore. Ancora scrivo per me, queste farfalle malate voleranno chissà fin dove, moriranno senza storia, non importa. Io pensavo questo bisogno durasse un giorno, un anno, il tempo di maturare, invece resta, non sa rassegnarsi; è malattia e questo male contiene in sé la cura che pure mi avvelena. Quante volte ho maledetto il momento in cui sono cascato in questa trappola: mi succede sempre più spesso, e più mi dispero e più non posso uscirne, non ci provo, non voglio. È quello che ho sempre fatto, è un istinto ormai, chissà se significa essere scrittore o so

OGNI SVOLTA UN ADDIO

Guardo un cavalcavia dell'autostrada e penso che ogni tanto vorrei cambiare aria anch'io, come quando da bambino partivamo alle 4, che poi le quattro non erano mai, e ogni anno Gamma Radio metteva in successione “Pop Corn” e “In The Summertime”, mio padre partiva, la 125 che chiamavo "cazzo storto", per la marmitta ricurva, arava l'asfalto, strapiena com'era, ad ogni svolta era un addio, a Melegnano già albeggiava e non vedevo l'ora di fermarmi a far colazione all'autogrill perché mi piaceva il profumo del cappuccino, il suo sapore. E poi mi ha sempre eccitato il viaggio, i posti dove si parte, si arriva, la gente che passa e va. Dio quanto amavo la Stazione Centrale. E quando si arrivava era un altro mondo e per i primi giorni sarei vissuto sospeso, tutte atmosfere nuove o meglio ritrovate, gli spazi fisici da misurare nella stanza della pensione, le strade da conoscere e il mare. Il mare, che è sempre acqua ma non è mai lo stesso, già da Miramar

CHESTER BENNINGTON E IL BUIO DELLA RIBALTA

CHESTER BENNINGTON E IL BUIO DELLA RIBALTA

SE PENSO CHE CI SEI

A me non interessa chi vive di squallore: chi m'importa sei tu. Perché ti so da solo, proprio come son io se un amico non viene, non mi trascina via dalla noia che ammala, che sempre più mi scava. Sì, io ti so da solo a sgranare le sere, il filo di un'abat-jour dalla trapunta del tramonto, la quiete della stanza; stille di radio e sudore. E intanto passa l'estate, e allora io voglio essere quello che c'è per te, appuntamento discreto, consolazione scritta. Voglio essere nel tuo morire umile, nella coscienza stanca, voglio esser pretesto, distrazione affettuosa, il letto che riposa, la compagnia che osa. L'ultima parola prima del fatalismo. Se riesco. Ci provo. Con tutto me stesso insisto, oggi più di allora perché nient'altro mi rimane che la mia illusione, questa idea di esistere in chi mi cerca. Non è il mio posto là dove le cose succedono, dove s'intrecciano compromessi e occasioni, dove l'oscenità si compiace di sé. Io conosco la voce del silenz

MISERY IS THE RIVER OF THE WORLD

Considerazioni in ordine sparso dopo una mattinata di routine. L'Italia non è vero che non abbia memoria storica, ce l'ha ma strumentale al limite dell'idiozia: se scarcerano un delinquente in fama di migrante dopo che ha tentato di ammazzare uno sbirro, la colpa non è mai dei giudici, è delle leggi, cioè di Cirielli, cioè di Berlusconi, cioè Acab, cioè Genova: gratta gratta, viene sempre fuori l'eterno alibi. Ed è inutile discutere. Vado a cambiare abbonamento del telefonino, perché hanno d'imperio aumentato la tariffa e allora mi guardo in giro e scopro che costano tutte più o meno uguali e tutte più di prima: non si era detto che la concorrenza giova al consumatore e abbassa i prezzi? A questo punto il provetto liberale obietta: sì ma questi sono oligopoli, il contrario del mercato. E il liberale deluso che sono controsserva: 'sta storia del mercato che non è mai come succede ma come si vorrebbe che fosse, ricorda un po' troppo quella del comunismo c

FALCONE-BORSELLINO, L'EREDITA' TRADITA E IL FALLIMENTO DI UN PAESE INTERO

FALCONE-BORSELLINO, L'EREDITA' TRADITA E IL FALLIMENTO DI UN PAESE INTERO

CASSANO, SPECCHIO DI UN PAESE MAESTRO NELLO SPRECO DI TALENTO

CASSANO, SPECCHIO DI UN PAESE MAESTRO NELLO SPRECO DI TALENTO

INCAZZARSI DOPO UN TRIONFO

Ieri sera, come almeno duemila persone sanno, abbiamo condotto a Porto San Giorgio la undicesima edizione di “Moda e Motori”, cioè uno spettacolo a tutto tondo con cui veniva riletto l'intero Novecento alla luce dei mutamenti del design automobilistico e dell'alta moda italiana. Si tratta di un evento piuttosto impegnativo, perché, con mia moglie, lo abbiamo concepito in una dimensione apparentemente televisiva, in realtà con un taglio teatrale: ad ogni momento succede qualcosa, le situazioni cambiano, le sollecitazioni si incrociano. Per cui, mentre l'auto si ferma in passerella, e ce n'erano 27 dal 1909 fino al 1982, e la modella scende fasciata in un abito contemporaneo alla vettura, rigorosamente originale, il pubblico può osservare la diretta sul maxischermo con una radiocamera che s'insinua fin nell'abitacolo della vettura (uno spettacolo nello spettacolo), poi d'improvviso appare un quadro, o una diapositiva di costume, e così via. Non mancava un vid

IL FARO SLITTA DI UNA SETTIMANA

Avviso. Domani il Faro non sarà disponibile, slitta di una settimana causa preparazione di "Moda e Motori", evento che per la sua complessità - chi ci viene, capirà - pretende dedizione assoluta. Naturalmente l'abbonamento si allunga di conseguenza e tiene conto di questa sospensione. Il Faro torna sabato venturo.

FARO 26-27 / 2017

E invece rompono. Quando raccontano da bestie la scomparsa di una protagonista della pop cultura (Anita Pallemberg). Quando difendono i modelli matematici che non tornano nella realtà e allora non rimane loro che infamare gli scienziati che, sapendolo bene, lo dicono (Zichichi). Rompono. Quando sullo ius soli vanno di astrazioni, anche qui usano modelli matematici plasmabili alla bisogna (anche se in queste ultime ore, date le tempeste di sbarchi, hanno qualche scrupolo in più). Rompono: e sono le risorse che prendono d'assalto una scuola e la devastano per questioni di faide giovanili (chi legge se ne sarà già dimenticato, ammesso che lo abbia saputo. Il Faro, no). Completano il quadro una cartolina della globalizzazione scattata al mercato (quello rionale), una ipotesi scomoda ma forse non così campata per aria sull'atroce fenomeno dei bambini dimenticati in auto surriscaldate, un altrettanto sgradevole ritratto di una che temevamo sovraesposta, ma è già finita oltre la

GLI ULTIMI

Li riconosci subito. Hanno laghi negli occhi, di dolore, di sgomento, di stupore. Li riconosci quegli sguardi vacui in apparenza, che tradiscono il disagio di sapersi in ritardo, sempre compatiti, sempre tenuti da parte, a volte spinti avanti, per bel gesto. Si portano addosso un odore patetico, denso e inconfondibile; nessuno vuole stare con loro. Vivono rinchiusi in una fotografia, c'è un cantante che li abbraccia, e ingiallisce ogni giorno, ad ogni sguardo. Momenti d'ingenua beatitudine custoditi nei diari che nessuno legge, pieni di pagine vuote, quasi vuote, reliquie patetiche proposte a parenti che non vogliono saperne, ad amici che proprio amici non sono, che non vogliono entrarci in quelle camere atroci dove c'è tutto che manca, c'è tutto che stona, i santuari strazianti della claustrofobia. Ma loro s'illudono, con disperata forza, perché nel loro stare indietro qualcosa capiscono, l'essenziale lo colgono: io non sono come voi, io debbo venire dopo

SUI VACCINI NON ASAGERIAMO

La legge sull'obbligatorietà dei vaccini è una pistola scarica: sieri ridotti da 12 a 10, sanzioni pecuniarie ridotte, nessuna privazione della potestà genitoriale; lo Stato, al solito, auspica, consiglia, confida. Maledetto Paese, maledetta società manicomiale, maledetta politica di calabraghe, poi hanno il coraggio di stramaledire una Thatcher di ferro. Per forza, qui usano le soluzioni emollienti, malleabili, duttili, regna il compromesso anche quando ne va della vita dei più piccoli. A che serve una legge così, se non a sancire la vittoria dei dieci o quarantamila mascalzoni di Pesaro, arringati da cialtroni anche peggio di loro? Doveva essere una norma drastica, per tutelare l'immunità di gregge, è diventata una prescrizione teorica, per la quale chi rifiuta una cosa indiscutibile come un vaccino non rischia praticamente niente. Ecco, moltiplicate questo caso per settant'anni di storia e otterrete la Repubblica Italiana, fondata sul qui lo dico e qui lo nego: è l&

MUNDIAL '82, QUELL'IRRIPETIBILE STATO DI GRAZIA DELL'ITALIA

MUNDIAL '82, QUELL'IRRIPETIBILE STATO DI GRAZIA DELL'ITALIA

LUI

C'è questo ragazzino, che incontro ogni volta, dai lineamenti irregolari, deve abitarmi vicino, ed è sempre così solo, così triste. Si vede che è triste, si sente addirittura. Porta pantaloni alla moda dei giovani, col cavallo basso, e porta scarpe alla moda, ma è sempre così isolato; non l'ho mai visto in compagnia di qualcuno, mai visto qualcuno che gli rivolgesse la parola ed ha lo sguardo di un animale ferito, offeso. Vorrei fermarmi, parlargli, ma potrei essere come minimo suo zio e non capirebbe: a volte quella che chiamiamo solidarietà è solo una sgraziata intrusione, non sono io a poter colmare una desolazione che forse non è neppure più disperazione, lui mi pare uno che nel deserto c'è cresciuto e non conosce altra vita, altra frequentazione che se stesso. Ha lo sguardo arreso, i lineamenti irregolari, i brufoli, e nessuno si ferma con lui; sono sicuro che anche a scuola è lo stesso. Lo vedo, estate e inverno, cambiare indumenti, vestirsi come uno che va incon

DON MAZZOLARI E LA CANTERINA: UNA STORIA SUL PRETE PARTIGIANO

DON MAZZOLARI E LA CANTERINA: UNA STORIA SUL PRETE PARTIGIANO

OMICIDIO STRADALE, UNA LEGGE CHE NON FERMA LE MORTI

OMICIDIO STRADALE, UNA LEGGE CHE NON FERMA LE MORTI

MARCELLINO

Ma sì, torniamo pure a Fermo, al Mercatino, è da quando abbiamo traslocato che non ci andiamo più. E scorrendo la Strada Nuova, la Piazza, il Corso Cefalonia arriviamo nel budello scosceso di via Rosati con l'odore di muffa che sale dalle segrete dei palazzi vetusti e in fondo al budello la grande casa sorta sulle rovine di un convento, dove mio padre cresceva con sette fratelli e sorelle e la madre che impazziva dietro alla tribù e mio nonno pompiere che di sera ubriaco menava gli stessi salvati di giorno. Talmente enorme, con le sue cinque stanze da dormire, due bagni, il salone, il salottino e la cucina, che ci tenevano studenti a pensione. E quelli conoscevano le sorelle Del Papa e una dopo l'altra se le sposavano, e così mio padre diventava cognato dei suoi amici. E la casa non c'è più. C'è un rudere tetro, persiane sdentate, portone scrostato, “citofono non funzionante”. Ma cosa è successo? Vorrei entrare, vedere ancora una volta quel corridoio che a cinque

35

35 anni fa la felicità pazza. Provenivo da una settimana a Lido di Spina, nel Ferrarese, coi compagni, tutti i rimandati a settembre per sfregio contro la vita insieme al mare e fu una settimana assurda come usavamo allora. Giovani, stupidi e pericolosi, se non altro per noi stessi. Il genere di situazione per cui se uno di notte rubava un pattino e non tornava, pensavamo che potesse anche essere affogato, ma così, con fatalismo. Abituati a farci cacciare perché osceni, ribelli per finta ma fino a un certo punto. Dio, se ci penso non posso riconoscermi, è come se fossi il padre di me stesso, di quel figlio imbecille e insicuro, che inanellava cazzate, sigarette, bottiglie credendo quella fosse la vita. La prima fase del Mondiale spagnolo la vedemmo lì, almeno dove ci tolleravano. Non che mi ricordi molto: ciondolavo sempre. Un pomeriggio mi addormentai, distrutto, eravamo appena arrivati e già stavo in debito di sonno e crollai, bianco di città sotto il sole, mi svegliarono a calc

SOLUZIONE BOERI

Il presidente dell'Inps Tito Boeri, che a me non ispira granché ma potrei sbagliarmi, dice che dipendiamo dagli immigrati, se chiudiamo le frontiere il sistema previdenziale salta. Anche qui potrei sbagliarmi, ma ho qualche dubbio che quelli dei barconi entrino lisci nel tessuto socioeconomico come assunti che pagano i contributi con cui sorreggono la baracca; mi pare più il contrario, gente che costa e, bongré malgré, non rende. Posso portare una trascurabile esperienza personale. Dalle parti in cui vivo, c'è un albergo di mare finito un po' in rovina ma ancora buono per ospitarci appunto gli immigrati; difatti ci hanno sistemato una comunità (prevalentemente) di senegalesi, che, per inciso, non scappano da nessuna guerra ma da un Paese dato in crescita, sempre se ciò che ho letto non è fantasia. Ora, queste risorse io le ho sempre viste lì, sulla veranda dell'hotel in disarmo o nei paraggi, a far niente, a solfeggiare sui telefonini, a passeggiare con indolenza.

A QUESTO PUNTO

A questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti, anche ai più fanatici, che questo papa, secondo il quale non si fa abbastanza per gli immigrati, dovendo noi passare dalla scala delle centinaia di migliaia a quella dei milioni, è da rinchiudere in manicomio, anche perché non sa indicare alcuna strategia, organizzazione o metodo, non si scomoda a richiamare l'Europa alle sue responsabilità, gli bastano le parole, gli slogan, accogliere, integrare, risorse, più ponti. A questo punto dovrebbe essere chiaro a tutti, anche ai più ideologizzati, che l'Unione Europea non esiste: non uno dei 26 Paesi a fianco dell'Italia che affonda sotto il peso di sbarchi clandestini implacabili, ma è difficile sostenere che sono tutti nazisti, tutti carogne tranne noi, gratificati degli apprezzamenti, platealmente offensivi, di quel sinistro arnese di Junker in odore di malavita. “Sui migranti la UE deve cambiare passo” fu detto al brindisi per il sessantennale dai Trattati di Roma, il 25 mar

SE IL COMPLEANNO E' UN ADDIO

“Domani è il mio compleanno e non voglio fare niente, voglio essere felice” dicevo a mia moglie in modo un po' straziante, un po' fantozziano. E invece mi levo al mattino ed è morto Paolo Villaggio ed è chiaro che ci scrivo sopra. Che impressione, però: io di Fantozzi conosco a memoria ogni singola riga, posso proprio dire di esserci cresciuto, li ho letti e riletti talmente tante volte quei libri da esserne diventato, senza accorgermene, un esegeta. Il primo me lo regalò mia madre che avevo 11 anni, lei non voleva “Perché non sono letture per ragazzi” ma io insistevo e alla fine cedette, in un'edicola di via Pacini, ricordo ancora la lunga passeggiata fino a via Ampére e dì lì fin dentro Città Studi coi suoi viali alberati, mio fratello per mano. E adesso, più di 40 anni dopo, sono qui a scrivere della scomparsa di uno che letteralmente mi ha nutrito e la cosa non mi piace per niente: lo so che è retorico, scontato fin che volete, ma è come mettere uno strato di marmo

VILLAGGIO E LA COSCIENZA SPIETATA DELL'ITALIA

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