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MA ANCORA C'E' CHI UCCIDE IL MERITO


Leggo sul Corriere un articolo di una analista dell'Ocse, certa Francesca Borgonovi, e trasalisco: bocciare, sostiene l'analista, non serve a niente e si traduce in un costo per il sistema Paese. Se le analiste Ocse sono di questa stazza, siamo a posto. Mi par di tornare alla ideologia “non”, che non era una forma di teatro orientale ma un'accozzaglia di trovate surreali, puntualmente applicate e delle quali non finiamo di portare le croci: la follia “non” esiste, esiste l'alienazione capitalistica, una sana società cambogiana o peruviana e tutto va a posto; il lavoro "non" esiste, è sfruttamento, però esiste il salario; il mercato “non” esiste, esiste lo Stato imperialista delle multinazionali (da sbaragliare con dosi massicce di lotta armata); il merito “non” esiste, non deve esistere - questa la ripete tuttora Vendola, che notoriamente non conosce vergogna -, la scuola non deve selezionare “classi dirigenti” ma fare evolvere tutti secondo i dettami di una sana società egualitaria, collettivista e non competitiva (ai miei tempi lo slogan era “a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità”,  vulgata marxista della peggior specie). Assurdo, ma poco male se il mondo finisse ai confini del villaggio-Italia: ma che succede se, invece, continua? Apprendo da un libro di Federico Rampini l'ossessiva tensione degli studenti cinesi e indiani per accaparrarsi le opportunità didattiche migliori, riscattandosi dalla miseria: non sarà il migliore dei mondi possibili, con quell'esasperazione protesa ai risultati, ma di certo è il più realistico (nonché reattivo ad una sana società egualitaria che per decenni ha dato niente a tutti, quando ancora non li annientava): al punto che perfino i giovani americani, clamorosamente umiliati nel rendimento dai coetanei immigrati, si stanno rimettendo sotto, cogliendo tutto il dramma di un ritardo culturale. Nella Silicon Valley esistono seminari e corsi ultraselettivi, di stampo militare, per sfornare “gli Steve Jobs” del domani: anche questo sarà allucinante, indubbiamente, ma almeno tiene conto di una direzione, di un futuro già in atto; mentre noi siamo all'allucinazione opposta, ancora qui a predicare che nessuno deve essere bocciato e che il merito non solo non esiste, ma non deve esistere. Hai voglia, dopo, a parlare di fughe di cervelli. Hai voglia a chiedersi da dove salgono le scintillanti tare del nostro spettacolare sistema-Paese. Lo studio, per considerarlo tale, di questa Borgonovi ha del surreale: dallo scandalo per l'intollerabile minaccia al virgulto, “Studia, se no sarai bocciato!”, alla vibrante denuncia per l'inaccettabile pugno di ferro della scuola pubblica, che sforna ancora “troppi bocciati” (veramente non ce n'eravamo mai accorti: scuola di massa qui ha sempre fatto rima con promozione di massa, fino al climax del 27 politico e di gruppo in anni che qualcuno, e si capisce, considerò formidabili). Fino al disinvolto testacoda logico-didattico: “i ragazzi bocciati hanno più problemi comportamentali degli altri”, mentre la lettura è esattamente quella opposta: i lavativi (qualche volta) vengono bocciati perché sono ingestibili e creano “problemi comportamentali” a tutti gli altri. 
È il solito dilemma, si fa per dire: la scuola deve allevare l'eccellenza o trainare la mediocrità? In realtà è un falso dilemma, un falso problema: la scuola deve istruire, aiutare a crescere, non lasciare indietro ragionevolmente nessuno; ma il prezzo da pagare non può essere l'appiattimento delle menti potenzialmente più brillanti: anche questo è maledettamente ingiusto (se non criminale), e, quanto a “costi sociali”, sospetto anche più esoso. La scuola non può essere un grand prix, certo, ma neppure un parcheggio: proprio perché qualcuno poi dovrà finirci, a tirare questo sciagurato sistema-Paese: è così difficile da capire? Giusto offrire a tutti le stesse opzioni: dopodiché, chi è più portato, e motivato, deve potersi esprimere e deve poter emergere. Per se stesso, e perché, in una prospettiva sociale, i risultati – sembra allucinante solo doverlo ribadire - non arrivano per miracolo o per esaltazione buonista, si ottengono con una inevitabile convergenza di fatiche: quella dei docenti di buon livello (non sfornati al credo dell'appiattimento egualitario, che poi si risolve nella furbizia dei peggiori, i più raccomandati, i più “clientelizzati”), e l'altra di chi impara: da una classe di capre-capre-capre, che non si impegnano in nulla, avendo imparato, ed è l'unica cosa, che è vietato bocciare, non viene fuori niente di buono, solo dei cretini patentati, viziati e teppistoidi, che crescendo si evolveranno, nei casi più privilegiati, in medici che accoppano i pazienti, giudici che rovinano gli innocenti, analfabeti senz'arte né parte (anche quando bivaccano nei talk show), fannulloni a servizio pubblico più abili a fregare lo Stato che a servirlo. Tutta merce di scarto, che abbiamo in abbondanza e che non ci serve affatto. 
Insieme a qualche analista Ocse.

Commenti

  1. Pienamente d'accordo con l' articolo. Cito la testimonianza di uno stretto parente che insegna in una scuola pubblica( e si lamenta perchè guadagna poco. Questa è una faccenda che non capisco: gli insegnanti guadagnano quanto gli altri dipendenti pubblici inquadrati in analogo livello professionale. Semmai si potrebbe dire che che tutti guadagnano poco, ma lasciamo perdere ). Vedi, mi dice,la richiesta del genitore non è quella che al figlio venga data una buona istruzione, nossignore, è che il figlio sia tranquillo, non abbia stress- e uno studio serio un po' di stess, diciamo la verità,lo crea, e, in ultima analisi, non rompa le palle con i problemi scolastici. La cosa veramente grave è che i presidi "invitano" gli insegnanti a venire incontro a questo tipo di richieste, percè"altrimenti la nostra scuola è poco attrattiva e i ragazzi l' anno prossimo vanno in quella a fianco ". Se questa è l' autonomia scolastica , viva Giovanni Gentile !
    Francesco

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  2. La scuola più privatizzata, spesso, è quella pubblica

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  3. Ottimo, concordo in pieno, mi sembra di sentire mia madre (vicina al "traguardo" dei trent'anni di ruolo, scuola media)! Ci sarebbe anche il problema degli insegnanti di religione che non fanno un cazzo e son messi lì dalle sottane, e di quelli "di sostegno" che similmente non fanno una sega e costano un patrimonio. Non sfioro neanche la questione dei libri di testo veterocomunisti su cui m'è toccato studiare sennò m'incazzo veramente subito.

    p.s.: perdona il turpiloquio, spero tu capisca :-)

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  4. Gli insegnanti di religione quasi quasi è meglio se non fanno un cazzo...

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  5. Eheh...
    Tra l'altro la mia del liceo (povera donna, aveva un figliolo sfattone peso e mezzo punkabbestia) non era male. Purtroppo non ho avuto il piacere di assistere alle lezioni del prete che ebbero come prof. di religione alcuni miei amici: bestemmiava come un barrocciaio, beveva vinsanto come piovesse e, narra la leggenda, pare che si sia fatto prete per scommessa. Il che dimostra quanto in Italia si sia "avanti", senza purtroppo che nessuno se ne renda conto :-)

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  6. Sottoscrivo tutto dalla prima all'ultima riga

    Davide, Milano

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