Usa molto idolatrare, addirittura venerare Vasco Rossi, quello che aveva il “fegato, fegato spappolato”. Forse perché il successo rende simpatici, come diceva Charlie Chaplin, o forse perché nel sistema dei media governati dalla pubblicità quasi nessuno può permettersi di dire che il re è nudo. Ah, Vasco, 29 volte a San Siro, sei concerti di fila, come lui nessuno, neanche le rockstar straniere. C'è molta, molta ambiguità nel peana continuo al “Komandante”, di cosa non si è capito, conosciuto anche come il Blasco, che con Ibanez, quello di “Sangue e arena” c'entra niente e i fan neppure lo sospettano. Rossi, come tutti quelli esplosi tra i Settanta e gli Ottanta, fa né più né meno la stessa cosa degli illustri colleghi: si amministra, gioca sulla sua immagine, a pendolo tra le vecchie trasgressioni e il banale, stucchevole falso buon senso di oggi: “Questo mondo non mi piace”. Tremate, Vasco ha scagliato il suo anatema, ovviamente vago, non precisato, come usa molto oggi, t