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Visualizzazione dei post da giugno, 2019

CAPITANA PARIOLEN

LA COMPAGNA CAPITANA CAROLA

LA COMPAGNA CAPITANA CAROLA

LE PECORELLE

Sono saltati fuori altri dieci luridi, dieci pecorelle che si accanivano sul pensionato di Manduria morto di terrore e di stenti lo scorso aprile. Questo è il testo che ho letto lo scorso 2 maggio a Nervesa, durante il reading con Paolo Benvegnù. Vorrei portarlo in giro più spesso, ma non ho occasioni, mi ci vorrebbe un manager e io non ce l'ho e sono stanco di sbattermi.  Come si chiamava il pensionato invalido morto ammazzato a Manduria dopo mesi, anni di torture da un branco di quattordici scellerati, quasi tutti minori, ma due già sui vent'anni? Se ve lo chiedo non lo sapete, magari l'avete anche sentito nominare, ma non lo ricordate, si tira via, si cerca di rimuovere. Un pensionato, un operaio, un disabile, mai cresciuto anche quando lavorava, abbandonato a se stesso quando non ha più potuto. E lui stava sempre più barricato nella sua casupola, ma non poteva difendersi dal terrore quotidiano di quegli aguzzini, giovani e già infami, che lo pestavano, lo umil

MICHAEL JACKSON E' UN THRILLER SENZA FINE

MICHAEL JACKSON E' UN THRILLER SENZA FINE

EMANUELE, EROE DAVVERO

EMANUELE, EROE DAVVERO

LA LINGUA SULLA PELLE

La mia amica Laura, che mi ha fatto i tattoo, giustamente mi ha chiesto perché proprio la linguaccia dei Rolling Stones (circa l'altro tatuaggio, quello col gatto, non servono spiegazioni). È molto semplice. Perché simboleggia anzitutto una cosa che mi ha davvero cambiato la vita: ricordo quando li ascoltai la primissima volta, fresco ginnasiale quattordicenne: al bar Erika, davanti al Carducci, dal jukebox usciva sempre Miss You e io ascoltavo rapito quelle vibrazioni malsane e seducenti: già allora avevo capito che non li avrei lasciati mai, c'era qualcosa in quel suono, qualcosa capace di scatenare la mia parte dionisiaca, di rendermi osceno e coraggioso, di dare un senso alla mia voglia di sfasciarmi, alla mia ribellione che covava. Non mi sono mai redento e i Rolling Stones mi circolano dentro come il sangue. Ho avuto una vita diversa da quella dei miei compagni, della gente che di solito incontro: ho avuto meno cose, ma ne ho vissute di più. E quelle vibrazioni s

LIGAFLOP

LIGAFLOP

DIMA E DIBBA, LE DUE FACCE DELLA MELA

DIMA E DIBBA, LE DUE FACCE DELLA MELA

IO SONO QUESTO

Io sono questo e forse, non lo so Non ho tante risorse, non lo so Amo gli animali, mi ci perdo Dentro un paio d'ali sopra al mare E non posso guarire Dal girasole che nel vento muore Io sono questo, fatto di pezzi di vetro Tenuti insieme da una canzone, un sogno Non lo so Non ho saputo crescere e ormai invecchio Io mi specchio nei tuoi passi e capisco Quel che c'è da capire ma non ne esco Chiamami depresso se lo vuoi Non chiamarmi affatto, lascia qui Tutte le poesie di spazzatura Io sono questo, io sono così I miei cancelli neri come gatti I miei cortili e gl'immensi non detti Che disprezzi. È così vile in fondo Io sono questo e non ho altro che me Non ho un pretesto dove rifugiarmi Non ho bugie con occhi di maschere Amo gli animali senza inganni Senza dovermi difendere ogni volta Quel loro bisogno che è anche il mio Di essere, semplicemente, e basta Col mio parlare da solo nel sole Il mio

LA DISTANZA SIDERALE TRA LA PAUSINI E LE AZZURRE

LA DISTANZA SIDERALE TRA LA PAUSINI E LE AZZURRE

GLI INCORREGGIBILI

GLI INCORREGGIBILI

CUORE DI PEZZA

Non verrà nessuno, lo so già A salvarmi dalla notte d'estate Non mani incallite di spazzino Pietose su giocattoli rotti Ma io non sono rotto, sono solo Inutile col mio cuore di pezza Che asciugò pozzanghere di sale Che potevi strapazzare per ore E restava fedele Come una madre che muore, un odore Un ladro che resta nascosto Nella foresta, su altalene d'ombre Non verrà nessuno, io lo so A raccogliermi dalla morte che viene Come un epilogo, un fatto incontestabile Una legge di natura dalla logica Matematica, ma io non sono natura Io ho occhi di pezza e vedo passare L'indifferenza che non ebbi mai Le mie labbra baciano formiche E non posso cancellare il sorriso Di pezza che accendeva una stanza Il mio ultimo giorno spendo qui Nell'arsura di chi non ha rimorso Aspettando il fiato del forno Che brucerà l'urlo del tatuaggio Dell'amore che illuse il mio tempo

IL VENTO

Io penso di te che sei tutto Che non ho avuto niente in questa vita E quel niente l'ha portato il vento Nelle pareti di silenzio al cimitero Nelle fiale d'assenzio all'ospedale Penso di te a folate, a sorsi Poi di gioia e di spavento piango Ma voglio giurare che sarà diverso Che il vento non porterà via te Perché è il vento a scagliarmi da te Perché è il vento che mi porta te Non avrò paura questa volta Ora che semi di noi brillano al sole Su ogni pianta fiorisce la tua voce Del dolore che si fa preghiera E nel vento d'ali io t'abbraccio T'abbraccio, animale tremante

LA SOLITUDINE PRIVATA DI ANDREA CAMILLERI

LA SOLITUDINE PRIVATA DI ANDREA CAMILLERI

LEGGIMI ADDOSSO

Vieni da me con un cuore d'assenzio Con le ferite grondanti rovina Per le sere di rimpianti e silenzio Per gli avanzi rimasti in cucina D'una cena che non basta mai Fatta di guai, di molta pena amara Per i sorrisi presi a martellate Per la polvere che rimane di fiori Colti da un bambino addormentato Per i fori in vene desolate Dissacrate da morti segreti Per le pareti strette della stanza Dove ha sbattuto chi danza da solo Vieni adesso, leggimi addosso, ascolta Come la sera cala il suo sipario  Vieni, che è il momento di piangere L'ultima illusione di chi prova Ad infrangere il sortilegio nero A sconfiggere il vero. Trave oscura Nella notte che più non respira Felicità di vetro da travolgere Sotto valanghe di pietre di bugie Spranghe di follia spezzano il cielo Questo mondo è una pozzanghera impura Un mitragliatore di dolore Ovunque vai ci trovi la paura Di vivere e morire. Il tuo destino Sei tu e sai di non sfuggir

QUANDO TORNO QUI

Quando torno qui sono infelice perché sono stato felice. La felicità possibile, quella che non sai di avere. Quella che provi solo da scricciolo e poi ti rimane conficcata dentro, a vita, come una mancanza che si agita. E non posso non tornare sempre, il richiamo della foresta è troppo forte. Oltre il cancello nero io tendo lo sguardo, cerco quel fazzoletto di cortile: eccoci tutti, ecco i nostri fantasmi bambini, non manca nessuno. Giochiamo, rumorosi ma educati, giochiamo senza litigarci, inventando i pomeriggi, volendoci bene come solo i bambini sanno volersene. Un bene assoluto e possessivo, confuso e sicuro. Un bene di vita. Eccoci, saltiamo con l'elastico, ascoltiamo le canzoni dal mangiadischi, ci nascondiamo dietro la siepe, nella luce del giorno che scolora. Protetti dal mondo di fuori, che qui non arriva: questo è il nostro mondo, il nostro regno, solo nostro, e non finirà mai. Fatto di gatti e di giochi, di appuntamenti che si ripetono, fatto di quel crescere violent

BRUCE SPRINGSTEEN - WESTERN STARS

BRUCE SPRINGSTEEN - WESTERN STARS

LE BRACCIA DI GESSO

Avevo tre anni e le braccia di gesso per non ferirmi in gola. Mi avevano appena ricucito il palato, così da regalarmi le parole mai nate in quella voce che disperatamente chiamava, e ogni pomeriggio io venivo abbandonato: i miei genitori, scaduto il tempo della visita, mi lasciavano e vedendoli sparire dietro il vetro urlavo, urlavo nel sole del tramonto. La suora bianca mi riportava in corsia e stretto nel mio pigiama davo via i giocattoli, inutili ninnoli, a chi me li chiedeva, per rabbia e per paura, perché ero perduto lì dentro, perché non ho mai saputo dire di no. Avevo dieci anni e una fidanzatina che non avrei mai lasciato. Quando pioveva ci rifugiavamo sotto al salice in giardino e Carluccia mi tempestava di baci ed io mi sentivo al sicuro, adulto, grande. Era tutto lì, la vita era quella, non serviva nient'altro. La vita era quell'estasi completa, assoluta, che ci rendeva immensi. La portarono via, in un posto nuovo, e quando tornava a trovarmi io ero freddo, e

SATISFACTION, CHE NON CONVINCEVA I ROLLING STONES

SATISFACTION, CHE NON CONVINCEVA I ROLLING STONES
PEGGIO SEI, PIU' PREMIATO SARAI

E SE LA FACESSIMO FINITA CON L'AGIOGRAFIA DEL "BLASCO"?

Usa molto idolatrare, addirittura venerare Vasco Rossi, quello che aveva il “fegato, fegato spappolato”. Forse perché il successo rende simpatici, come diceva Charlie Chaplin, o forse perché nel sistema dei media governati dalla pubblicità quasi nessuno può permettersi di dire che il re è nudo. Ah, Vasco, 29 volte a San Siro, sei concerti di fila, come lui nessuno, neanche le rockstar straniere. C'è molta, molta ambiguità nel peana continuo al “Komandante”, di cosa non si è capito, conosciuto anche come il Blasco, che con Ibanez, quello di “Sangue e arena” c'entra niente e i fan neppure lo sospettano. Rossi, come tutti quelli esplosi tra i Settanta e gli Ottanta, fa né più né meno la stessa cosa degli illustri colleghi: si amministra, gioca sulla sua immagine, a pendolo tra le vecchie trasgressioni e il banale, stucchevole falso buon senso di oggi: “Questo mondo non mi piace”. Tremate, Vasco ha scagliato il suo anatema, ovviamente vago, non precisato, come usa molto oggi, t

COLONNA SONORA

E va bene, il futuro sarà pure elettrico, andremo tutti su mezzi elettrici incapsulati in un ronzio frigido e corretto. Ma io resto figlio del Novecento, del traffico che è la colonna sonora di una città e quando sento un motorino sgassare ancora torno vivo. Perché vivo è quell'insetto scoppiettante, perché sopra c'è un ragazzino che ha fretta, che va da qualche parte (e se non sa dove, tanto meglio), insomma respira. Vive come vivevo io nei miei pomeriggi di premurosa noia. Vive come torno a esistere sulla mia Vespa, quando do a manetta e mi vengono in mente tutte le parole per farci articoli e poesie. Anche mi piace il profumo di quella fretta, mi piace lo smog che è proustiano, si mescola al sapore di asfalto e di giardini innaffiati e esala d'estate quella mistura irripetibile che mi è rimasta dentro. Il rumore di smog sa di semafori e sconosciuti, di piazze e di lampioni, di autobus e di tram dove la gente non si guarda, di schivate da torero mirabili sulle stris

NOA, ABBANDONATA NELL'IMBUTO

NOA, ABBANDONATA NELL'IMBUTO

INFORMAZIONE E DISTORSIONE

INFORMAZIONE E DISTORSIONE

BASTA CON LA RETORICA DEL BLASCO

BASTA CON LA RETORICA DEL BLASCO

PERCHE' LE MARCHE DIVENTANO VERDI

PERCHE' LE MARCHE DIVENTANO VERDI

SFERA EBBASTA, IL NULLA A X FACTOR

SFERA EBBASTA, IL NULLA A X FACTOR

MI TROVERAI

Mi troverai nel sangue Tu come chiunque non ha voluto ascoltare La brezza di un morire incredulo Rinverdito ogni giorno nel cavo delle mani Mi troverai nei suoni del deserto Di città, sotto la coltre della sera Quando sollievo e angoscia s'innamorano E teorie d'alberi indicano la strada Che non porta in nessun posto, che rimanda Ai passi consumati mille volte Mi troverai in te stessa, lo sguardo d'un rimpianto Annientato da pietose sirene Disperso nel lampo del tramonto Che sbatte sul balcone del tuo autunno

IL DOPOVOTO E' UNA FAIDA ULTRA'

IL DOPOVOTO E' UNA FAIDA ULTRA'