La mia amica Laura, che
mi ha fatto i tattoo, giustamente mi ha chiesto perché proprio la
linguaccia dei Rolling Stones (circa l'altro tatuaggio, quello col
gatto, non servono spiegazioni). È molto semplice. Perché
simboleggia anzitutto una cosa che mi ha davvero cambiato la vita:
ricordo quando li ascoltai la primissima volta, fresco ginnasiale
quattordicenne: al bar Erika, davanti al Carducci, dal jukebox usciva
sempre Miss You e io ascoltavo rapito quelle vibrazioni malsane e
seducenti: già allora avevo capito che non li avrei lasciati mai,
c'era qualcosa in quel suono, qualcosa capace di scatenare la mia
parte dionisiaca, di rendermi osceno e coraggioso, di dare un senso
alla mia voglia di sfasciarmi, alla mia ribellione che covava. Non mi
sono mai redento e i Rolling Stones mi circolano dentro come il
sangue. Ho avuto una vita diversa da quella dei miei compagni, della
gente che di solito incontro: ho avuto meno cose, ma ne ho vissute di
più. E quelle vibrazioni s'agitavano sempre in me. Non è solo
questo. È che, mio malgrado, non sono mai riuscito ad inserirmi. E
non perché volessi correre dal lato sbagliato della strada, niente
affatto: io, a modo mio, ho rigato dritto, ma non c'è mai stato modo
di riposare su una sola certezza. Non ho mai avuto una garanzia, un
contratto, una prospettiva, me la sono dovuta sempre cavare da solo,
nessuno mi ha aiutato, ho cercato di aiutare tutti quelli che potevo,
gli altri mi hanno preso e mi hanno tolto. E, come potevo, sono
andato avanti. Non sono Vasco Rossi, non fingo la trasgressione del
potente, che se gli scrivi contro scatena subito la batteria della
censura. Ho cercato di non vendermi, o almeno di non svendermi, non
ho sempre scritto tutto quel che volevo ma non ho mai scritto cosa
non volevo. E, di fronte all'alternativa se rischiare o conservarmi,
ho sempre scelto la prima soluzione, quella potenzialmente suicida.
Senza spalle coperte, senza difese d'ufficio. Mettendo sempre tutto a
repentaglio, anche quello che non avevo. Penso sia sufficiente per
meritarmi la linguaccia sulla pelle. Oggi, se qualche stronzo venisse
a dirmi, storcendo il naso, che alla mia età, che nella mia
posizione, che non sta bene, che gli altri poi cosa dicono, gli
risponderei: chi cazzo sono gli altri? Dove stanno quando io affondo?
Io non debbo più niente a nessuno, nemmeno a me stesso.
Commenti
Posta un commento