Quando ero bambino non ci credevo, non sono nato con quell'istinto io e non mi ci hanno allevato due genitori sospettosi, sì, come di regola nella piccola borghesia contadina, ma poi disposti a fidarsi di tutto e di tutti in modo anche scriteriato. Di quelli che chiedono all'oste se il vino e buono e dopo lo bevono, rassicurati. Sono dovuto campare una vita, malamente, per capirle, le sabbie mobili. Sono quelle che non ti mollano mai, ti tirano giù, se possono ti rovinano e quando pensi di esserti salvato, di esserne uscito fuori, di averle lasciate alle spalle, tornano. Prima o dopo tornano. Sempre più vischiose, con la finta umiltà che non perde mai la volgarità dell'essere: tu lo senti, lo capisci che sono lì pronte a inghiottirti ancora. Le ho viste ungere mio padre, e ancora non ho imparato. Le ho viste negli occhi, e non ho capito. Sono dovuto passarci a mia volta, sperimentando la stessa apnea angosciata. Sono dovuto arrivare al limite della rabbia, violentando