Ecco, ho appena finito e non so se sono più sporco o più esausto. Ma oggi finalmente c'era il sole e non potevo più scampare uno sforzo a lungo disatteso, perché in sospetto di pena. L'ho fatto e non è stato per niente straziante, anzi è già sollievo. Pile, cartoni di libri invecchiati, dirottati in garage, i primi, quelli che sanguinosamente stampavo, mi portavo appresso alle prime scorribande: qui ho imparato quel mestiere nel mestiere che è trasformare un'arida presentazione in uno spettacolo, tanti incontri e quei primi semi di me a germogliare, mi auguro, dentro ignote stagioni. Ce n'era da sprofondare nella melanconia, nel blocco da spazzatura di sé, presa d'atto di successi mancati, speranze appassite. Ma erano coperti di polvere quei volumi, di pioggia morta in fango, non aveva più senso. Quei libri li ho scritti, li ho dentro, nella memoria del cuore e in quella digitale. A che serviva indugiarsi ancora? E così mi sono gettato via, preparandomi quasi a nuove fughe: dieci anni nella stessa casa sono troppi, almeno per me, che ho sempre sognato una dimora galleggiante, zingaro d'acqua mancato. Presto andrò via ancora, intanto mi alleggerisco. Ho riempito un cassonetto di carta, mi sento più leggero, niente triste. Anzi, quei primi lavori li ripubblicherò presto in pura luce. Ci fosse stato allora, il libro elettronico, avrei risparmiato un po' di sudore e tanta carta, io non sono un catastrofista, non mi toglie il sonno il riscaldamento globale, col buco nell'ozono, coi ghiacci che si arrendono e la prospettiva della prossima fine del mondo tra quattro o cinque milioni d'anni. Ma sprecare risorse, questo sì che è un sottile dispiacere, specie se sono alberi. Avessero inventato allora l'ebook, io non avrei ingombrato, non avrei sgravato, non avrei aspettato anni per un rituale che temevo e alla fine nessun dolore ha portato, salvo, un poco, alla schiena. Domani inventeranno altri incanti, ma sono solo incantesimi, l'importante è il tuo grido, è salvare quello, tutto vola disperso ma chi sei tu lo sai, niente può amputare la gioia che un giorno sfiorasti consumando ogni sorriso, ogni sforzo di esistere.
C'è un articolo di Fini che una volta tanto non parla di talebani ma di dei, di morte, di vita, di infanzia. Secondo me potrebbe piacerti
RispondiEliminaNon lo leggerò, mi farebbe rimpiangere il Fini che avrebbe potuto essere, anzi restare
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