Li riconosci subito. Hanno laghi negli occhi, di dolore, di sgomento, di stupore. Li riconosci quegli sguardi vacui in apparenza, che tradiscono il disagio di sapersi in ritardo, sempre compatiti, sempre tenuti da parte, a volte spinti avanti. Si portano addosso un odore patetico, denso e inconfondibile; nessuno vuole stare con loro. Vivono rinchiusi in una fotografia, c'è un cantante che li abbraccia, e ingiallisce ogni giorno, ad ogni sguardo. Momenti d'ingenua beatitudine custoditi nei diari che nessuno legge, pieni di niente, reliquie patetiche proposte a parenti che non vogliono saperne, ad amici che proprio amici non sono, che non vogliono entrarci in quelle camere atroci dove c'è tutto che manca, c'è tutto che stona, i santuari strazianti della claustrofobia. Ma loro s'illudono, con disperata forza, perché nel loro stare indietro qualcosa capiscono, l'essenziale lo colgono: io non sono come voi, io debbo venire dopo, nessuno sa bene cosa farmi fare,