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PIEDONE LO SBIRRO


Parte 1
Chi non lo ricorda? Talmente celebre da essere diventato un modo di dire, sulla scia di una colonna sonora memorabile. Era un polizi(ott)esco? Era un comico? Era docufiction ante litteram? Di sicuro è la madre di tutte le Gomorre, ma molto più umile e godibile. Andate a vedere dove e come comincia: al porto di Napoli. E non manca nessun tema: le contraddizioni partenopee, gli stranieri che nel gran casino napoletano s'integravano naturalmente, diventando parte della Babele demenziale. La camorra con la sua spietatezza ma anche lei in crisi d'identità, lacerata dalla guerra tra vecchia scuola e nuovi boss, più spietati, determinati a spennare per bene la gallina dalle uova d'oro della droga. Che non era affatto mitica, neanche allora: né impegnata né di sinistra, puro marketing, nient'altro. C'è una battuta che da sola riassume il travaglio di un'epoca: “Datemi tempo e io ai ragazzi gli farò fumare pure 'o Vesuvio” dice il Barone, che poi finisce morto ammazzato in una faida tra camorristi e marsigliesi. In mezzo a tutta questa follia napoletana, lui, Piedone, che conosce i vicoli e i miracoli di Napoli quanto i camorristi, e li combatte a mani nude in una crociata sempre più disperata e perdente. Altro che filmetto leggero: io questa pellicola grottesca, che gronda disperata allegria e crudo realismo, che con le sue Giulie, le motociclette, le basette, le prostitute ipercotonate, le camice attillate, le divise stazzonate degli sbirri offre una verace testimonianza d'epoca, la farei vedere nelle scuole, molto più di Gomorra che in fondo altro non è se non la proiezione egolatrica e mercantile di chi aveva firmato l'omonima sceneggiatura... 

Parte 2
...Ascolto quelle colonne sonore, leggo i vostri messaggi sui vecchi film che mi diverto a raccontarvi per raccontarmeli meglio, e resto colpito: ma allora... anche voi quel non so che, quel senso di nostalgia, di struggimento, di quello che volete che però mette un male sottile ed incurabile, troppo piacevole da provare? Come un quadro di Van Gogh che non te lo spieghi ma ti mette addosso uno strazio dolcissimo, come un bisogno ma non un rimedio, come una sirena che ci chiama e ci fermiamo ad ascoltarla, sapendo che ci perderà? 
Sì. Perché ci perdiamo per ritrovarci. E non posso non chiedermi come facciamo a condividere tutti un dolore così intimo, diverso per ognuno. Specie se a scrivermi c'è gente che quelle musichette, quelle atmosfere, quelle suggestioni le ha potute assorbire solo tramandate, scoprendole tardi, in un'epoca in cui erano già eco, ricordo, non esistevano più, non c'era il contesto giusto a racchiuderle. Ecco, il contesto. Quegli anni là. Che furono orrendi, non c'è dubbio. Anni di piombo e di polvere, di segreti, di misteri, di terribili, squallide domeniche con i negozi chiusi, di file apocalittiche di utilitarie verso il mare, di vinili e di cassette, di un Paese ancor più precario di adesso, e non c'era internet e non c'erano i telefoni e una lettera ci metteva un mese ad arrivare, se arrivava. Però erano quegli anni. E a rivederli in questi film, è come se il sole fosse stato più forte, più caldo e splendente. C'era una disperata vitalità, sì, in quel tempo e perfino una pubblicità, una cassetta vuota di bibite avevano una potenza evocativa oggi scomparsa. Ogni oggetto, ogni situazione, ogni sensazione erano insostituibili. Perché testimoniavano di qualcosa. Perché erano reali. Di virtuale non sapevamo né il significato né l'esistenza. I nostri sentimenti erano reali. I nostri incontri. La nostra solitudine, e la disperazione della domenica sera o per la fine dell'estate. La nostra vita era più vera. Era più vita. Non avevamo i filtri di adesso, che sopravviviamo a stento accontentandoci di una proiezione di noi stessi. Siamo echi, e gli echi non cambiano più, si riflettono all'infinito. Quello che ancora nessuno ha capito, è che internet ci rende fantasmi tra i fantasmi. Certe sigle le abbiamo conficcate in cuore, ma non sentiamo più il peso dei nostri passi per la strada, tra la gente fatta di persone vive come noi. E invece quelle musiche, quelle colonne sonore ci raccontavano di noi, diventavano noi stessi, ci entravano sottopelle, finivano nel sangue. Così come oggi vorrebbero fare coi motori di ricerca. Ma noi un motore di ricerca ce l'abbiamo già, si accende ogni volta che sentiamo qualcuna di queste sigle, ci riporta a pagine della nostra vita che avevamo seppellito sotto strati di confusione e invece aspettavano solo di venire liberate dalla polvere. Su quelle vecchie pagine sta scritto che anche i sogni erano più reali. Non è terribile?

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