Sono
andato a Sanremo che ero già scarico, sono tornato sfinito e ho
tirato ancora ma tra mia madre da gestire, il lavoro e tutto il
resto, a un certo punto mi son trovato in ginocchio: pensieri di
morte, poco sonno sconvolto da incubi, le forze che se ne vanno. La
dottoressa nuova mi ha visto e ha detto basta. E mi ha dato una cura.
La cura all'inizio m'ha lasciato uno straccio, poi mi ha rimesso in
piedi, ho perso (vertiginosamente) peso e adesso sto meglio.
Sfortunatamente, c'era scritto di non bere e invece ho ricominciato a
bere. Forte, una bottiglia al giorno più o meno. Mia moglie è
incazzata, ma sa che è inutile insistere, faccio peggio: debbo
arrivarci da solo. Per quelli come me è un guaio, perché smettiamo
una dipendenza per raccoglierne subito un'altra e per me è anche
peggio perché quello che può sfasciare un altro a me non fa
relativamente niente: non mi vedrai mai ubriaco, e non saprai un
cazzo leggendomi. Forse è genetico, o saranno le radici, o non lo
so. So solo che il mio stare al mondo l'ho sempre difeso così, nel
caos. So che non ce l'ho fatta ad essere come gli altri. So che per
tutta la vita ho cercato disperatamente la serenità, un equilibrio,
accettare chi sono, accettare il mondo. Non ci sono mai riuscito, e
questa cosa che mi brucia dentro con l'età non passa. Tutt'altro. E
allora accetto di non accettarmi, non provo più a correggermi, so
che la saggezza, la tranquillità non verranno mai. So che non sarò
mai davvero di nessuno. So che non smetterò di farmi male un giorno
alla volta. Mi piace pensare di essere un romantico, uno degli ultimi
in un mondo di sentimenti liquidi, e che scrivere è stata la mia
chitarra. In ogni modo, oramai è troppo tardi per qualunque altra
cosa, compreso pentirmi.
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