Non so se
potete capire di cosa sto parlando, perché messa così sa un po' di
delirio esoterico, ma il fatto è che io avverto vibrazioni. Le
percepisco, le ricevo come un'antenna e le rielaboro in informazioni
che mi riguardano, anzi mi colpiscono. Sto dicendo che mi accorgo
quando qualcuno, a distanza, pensa di me e riesco anche a cogliere la
disposizione d'animo, cioè in che modo mi pensa, e persino se quella
disposizione è mutata. Accade nei rapporti personali e in quelli di
lavoro, accade quando qualcuno mi si riaffaccia alla memoria dopo una
assenza sconfinata e ormai so che è questione di tempo, di ore, e
tornerà a mandarmi un segnale. Prima me ne stupivo, adesso aspetto
fiducioso. Non mi inganno mai. Certi miei mutamenti del morale,
dipendono soprattutto da questo: ecco, quella persona, quel contesto
non è più ben disposto verso di me. Oppure: ecco, la situazione si
è sbloccata, mi sento più leggero, quel qualcuno ha allentato la
presa, finalmente mi considera in modo benigno. È come una malattia
ed è sempre stato così ma ho tardato a farmene una ragione, era
molto più semplice, e di sicuro meno terrorizzante, attribuire il
tutto alle mie lune, a certe suggestioni infantili, a fantasticherie
da romanzo fantasy. Ma alla lunga ho avuto troppe conferme; solo
conferme. Chi mi frequenta, chi mi sopporta da vicino si è convinto,
adesso non mi guarda più come uno scappato da un manicomio: sa, per
esperienza, che presto o tardi, ma più presto che tardi, quel mio
presentimento si dimostrerà con la forza della controprova. Contro
ogni logica apparente, contro ogni probabilità sensata. Rinuncio a
indagare sull'alternativa circa mie eventuali facoltà, su qualche
dono misterioso, e una sorta di sensibilità morbosa, patologica, per
cui il mio cervello vaglia ogni segnale, ogni minimo elemento
pregresso e arriva a una sintesi che sfugge a me stesso. Sta di fatto
che è così, succede inesorabilmente e lo è, un po' terrorizzante,
riscontrare ogni volta che non sbagliavo; lo è perché è qualcosa
che sfugge al mio controllo, io non posso volgere una sensazione a
mio vantaggio, è qualcosa che so che succederà e basta, che io lo
accetti o meno, che io lo voglia o no. Qualcosa che sta nella testa
di un altro essere pensante, e lì resta. Certo, col tempo ho
imparato a non spingere, a non insistere quando avverto una
sensazione negativa o maligna. Ma non c'è altro, ed un vantaggio
molto relativo, molto esiguo anche perché dura troppo poco perché
io possa farci qualcosa. Vivo sballottato fra sollievo e
inquietudine, sono un cielo che di continuo cambia il suo colore,
sprazzi di sole si alternano a nuvole; ma le nuvole arrivano come
soffiate da persone che mi nominano, mi pensano, si ricordano di me.
E questa tempesta cerebrale è infinita, e più una persona la sento
collegata alla mia vita e più è violenta. Allo stesso modo
percepisco i pericoli e lo stato della mia salute. Io riesco a capire
quando mi succederà qualcosa di grave, di violento, così come
quanto grave sia il malanno che mi affligge, e il momento esatto in
cui comincio a debellarlo. Non è questione di medicine, ma di
risorse psicofisiche che a volte si sviluppano dopo molto tempo.
Quando però partono, io, anche se sono stremato, capisco di essermi
salvato ancora una volta.
Se a questo
punto pensate che l'amico che siete abituati a leggere,
attribuendogli bontà vostra una certa lucidità, sia definitivamente
fulminato, non posso biasimarvi. Ma io funziono così, fin da quando
ho avuto la capacità di ragionare, e siccome questa, come
chiamarla?, facoltà, attitudine, malattia, non fa che acuirsi, me ne
faccio una ragione e mi risolvo a conviverci per il resto dei miei
giorni.
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