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ANIMALE



Perché ogni volta che torno da una gita al parco zoo mi sento quella sommessa disperazione, mi sento che son morto dentro? E vorrei fuggire via, non so dove, da dove ma via, ritirarmi sconfitto, vergognoso e lugubre. 


Forse perché l'esplosione di vita che ho appena colto in tutti gli animali mi rivela la loro impotenza e quella mia, perché li vedo così fragili, disarmati anche i più possenti, li vedo indifesi nella loro mancanza di coscienza. Dipendenti da un sistema che li nutre e li argina, li espone e li imprigiona. Qui stanno bene ma, persa ogni libertà, fuori di qui non avrebbero scampo. E ogni loro gesto m'incanta e mi devasta. 


Il lupo che mi fissa di lontano, solo gli occhi fuori dalla tana, simbolo eterno di arcana paura.


Il puma agitato che passa e ripassa accarezzando il vetro e ho l'impressione di sentire l'odore, la consistenza del pelo.


La scimmia che su quel vetro posa la sua mano in corrispondenza della mia poi volteggia via in uno spasmo, di delusione, chissà, di felicità.


Le tigri pesanti che dormono insieme, schiena a schiena: sono fratelli, non sarebbe possibile altrimenti.


E l'abisso della morte nella criniera del leone, la morte a pochi passi da me, sempre quel vetro che mi salva. e Lo struzzo preistorico che mi scruta e mi avverte, non ti avvicinare, oltre questo reticolato non rispondo di te.



Mille altri sprazzi di bellezza, di tenerezza selvaggia e di ciascuno ascolto la distanza, impercettibile e suprema, che ci separa e unisce. Io, animale tra animali, io specie che pensa, che capisce, ma non abbastanza e alla fine resta prigioniera in un labirinto di domande. Io, specie dolorosamente felice tra altre specie; desolatamente angosciato in mezzo a quella mia: per capire le bestie che sono gli uomini, basta osservarle in mezzo agli animali: riscoprono il ritardo atavico, sconvolgente: urla, versi, smorfie che non ho visto fare a nessun'altra specie, dal placido ippopotamo ai teneri suricati. 



Ogni momento, invero, è dolcezza, ogni incontro è struggimento qui.


C'era un gatto nel recinto delle giraffe, le osservava indolente, la più giovane protendeva l'infinito collo curiosa e lui trotterellava via; andava a dar fastidio ai bufali che invano l'inseguivano: gli piace scherzare con la morte, a questo soriano che compariva ovunque, pur senza stivali; consentiva a me di sfiorargli la coda, forse avvertendo la mia razza di convivente di suoi simili. Un umano con occhi inutili e denti sporchi schiamazza alle scimmie che gravi lo considerano, poi si lanciano in acrobazie d'inaudita forza e agilità e l'uomo non sa ch'è irriso. 


La mia morte è tutta in questo crocevia, non poter comunicare con gli animali innocenti, non voler comunicare con i miei simili, colpevoli d'essere quelli che sono. Anche il mio sangue urla, reclama il suo riscatto, reclama la sua jungla oltre la sua scadenza. Ma io lo so, lo vedo, istinto per istinto posso capire tutto e niente suona strano, c'è una logica ferrea in ogni movimento, in ogni atteggiamento. 


È il senso della vita, della natura viva che m'investe e tormenta, mi devasta e cattura: analogie sommerse, spirali di dolore, tensioni di libertà, cattività subìta.


È così estranea in fondo la loro solitudine alla mia? Dal leopardo a Leopardi c'è un passo breve, ma invalicabile.


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