Usciamo a far due passi e
un signore anziano, distinto, che non conosciamo ci apostrofa: oggi
niente Vespa? Andiamo a far la spesa e, davanti al drappello di
sportine accumulate, la cassiera preoccupata ci domanda: non è che
siete in Vespa, vero? Certo, è l'uovo di Colombo, ma proprio per
questo funziona: sei sempre l'ultimo a realizzare la
percezione che dai di te. Mia moglie ed io siamo ormai “quelli
della Vespa rossa”, e, a dirla tutta, ne andiamo fieri,
non ci dispiace affatto venire identificati con questo prolungamento
motoristico (o il contrario, forse siamo noi umani ad essere una
conseguenza della motoretta). La prima impressione è quella che
conta: Dio solo sa quante volte ci vedono sfrecciare coi nostri
caschi, in qualunque ora, in qualsiasi circostanza. Noi la Vespa la
usiamo – appunto – per fare le commissioni, andare al mare,
girovagare, spingendoci fin oltre confine. L'auto riposa in letargo
estivo sotto casa, la Vespa non dorme mai. E noi con loro, io posso
privarmi di quasi tutto, ma non posso pensare di fare a meno di
queste ormai gloriose due ruote che dal 2007 (anche nelle stagioni
ingrate, non c'è problema, basta un piumino ben imbottito) hanno
trasportato ogni momento della mia vita, a volte felice, altrimenti
drammatico, risolvendomi un mare di problemi: ancora nuova fiammante,
servì come motomedica per le tonnellate di medicinali da recare a
mio padre, ormai condannato da una metastasi; più di recente, ha
fatto la spola tra gli ospedali dove smistavano mia madre, reduce da
un ictus. Ma di più ancora sono le scoperte, le immersioni
nell'aria, i pomeriggi a zonzo, le nottate a spasso da un borgo di
montagna a un lungomare. Toglietemi tutto, ma non il mio scooterone.
Posso rinunciare ad ogni cosa, ma non alla mia motoretta che brucia
la benzina della libertà.
Commenti
Posta un commento