Quest'anno l'estate c'è
meno di sempre, il che significa che l'estate non c'è mai, è un
inverno anticipato, prolungato, un inverno tra un inverno e l'altro.
Al mare poca gente, nel mare quasi nessuno. Mi sento sempre avvolto
dalla morte. Provo un po' di sollievo soltanto in trattoria, ma poi
finisce. Divido le giornate tra una madre che non esce di casa, dove
tutto decade e accumulo quelle sensazioni di angoscia che poi
esplodono nei sogni, e la routine del resto dell'anno; non mi sento
mai “in ferie”, “in vacanza”. Non mi sento mai di rilassarmi.
Non sento l'aria di svago, di torpore che accompagna l'estate,
qualcosa che ancora non ho imparato a non desiderare. Qualcosa che
inseguivo disperatamente, negli scorci, nelle canzoni, e che ormai
non so neppure più cercare. Non vado via, non fuggo dalla mia vita
che non è fatta di vita ma di scrittura. Ma se non scrivo ogni
giorno è anche peggio. Quanti libri sto leggendo in quest'estate che
non c'è, ci sto proprio lasciando gli occhi. Osservo le giornate che
passano, inesorabilmente più accorciate, e non ci trovo niente
dentro. Anch'io vorrei sentirmi un po' vacante, sospeso, un po'
trasognato dentro l'estate e invece non mi è dato. Vorrei, ma non è
possibile. Non è possibile lasciare, fuggire, non fa parte della mia
vita. La mia vita è dare, spremermi, sempre, e poi ricominciare.
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