Confesserò che,
contrariamente a quanto possa suggerire la roba che scrivo, io non
sono affatto contento di essere un disadattato, di non fidarmi di
nessuno e di non riuscire mai a sposare nessuna causa. Perché ci
sono quelli buoni per tutte le cause, e poi ci son di quelli che non
riescono ad identificarsi in niente e nessuno. Quanto sarebbe bello
trovare una casa, una chiesa, una militanza: come minimo, ne avrebbe
guadagnato la carriera. Invece non posso farci niente se la mia
allergia all'imbecillismo di sinistra non trova sbocchi in certo
becerume di destra, insomma se non riesco a fidarmi di nessuno; anzi,
più vado avanti e più, incanutendomi, m'incinisco. Non è
opportunismo, è autolesionismo. “Ma come? Prima dai addosso a una
parte, e la volta dopo te la pigli con quegli altri?”. Avete
ragione, sembro schizofrenico; forse lo sono. Ma che ci posso fare se
non mi riesce neppure di fingere. Io vorrei, disperatamente vorrei
riporre la mia fiducia residua in un interlocutore, in un piano, in
un disegno, in una prospettiva, in una illusione: niente, mi viene
solo da trovare i lati deboli, le falsità, le miserie che poi, senza
neppure dover aspettare troppo, sgorgano fuori copiosi. Provo a scherzarci su, a
ridurmi a macchietta, ad essere allegro se sono in compagnia: ma
fingo, mento, e mi riesce sempre più faticoso. Sempre più penoso.
Ci riesco sempre meno. Capisco che i miei interlocutori ci restano
male, che li metto a disagio, ma io non ho più nemmeno voglia di
questa educazione residua. Sono così, e non mi va più di motivare
il mio spirito. Di farmi perdonare. Accettare. Comprendere. È brutto
invecchiare così: senza miti e senza dèi, io non salvo più neppure
quelli della gioventù, neppure quelli sui quali m'illudevo di
formarmi, scrivendo. Lo stesso moralismo ha lasciato posto ad una
rassegnazione quasi comprensiva: se anche quelli si vendevano, in
fondo, che dovevano fare? Nessuno è un santo e i santi sono noiosi e
anche un po' crudeli. Santo, nel mio infimo, non lo sono manco io, e,
se avessi le occasioni giuste, sono sicuro che sarei più squallido
ancora di quelli che critico. È solo che, arrivato a 54 anni, mi
manca ogni riferimento, posso solo trovare motivi di scontento da
qualsiasi parte io mi volti. Scontento e noia: ormai
non perdo più tempo neanche se mi interpella qualche personaggino
più o meno mediatico, più o meno conosciuto: la vanità dello
scazzo ha lasciato il posto a una consapevolezza senza eccezioni, un
imbecille non lo è di meno perché ha due milioni di
seguaci, anzi lo è di più. Uno di questi idioti
pieni di sé (ovvero vuoti di qualsiasi cognizione elementare) mi ha detto
di recente che mi credo un genio, che sono presuntuoso. Ma quale
presuntuoso. Sì, ma nel senso del tutto contrario, sono esasperato anche da me
stesso. Ma che glielo spiego a fare che per me lui non è niente, è
meno dei suoi follower-fantasmi? Sopra l'insofferenza,
poi, si sta facendo strana una curiosa, sconsolata compassione verso
tutti e nessuno, crocifissi come siamo alla nostra morte progressiva,
quotidiana: tutto mi parla di solitudine, nella proiezione di
chiunque io trovo l'angoscia di non poter scampare a se stesso, al
destino, alla notte che abbiamo dentro; e me ne sale un compatimento
ferito, che non si trasforma in amore. C'è una battuta di dr House che, quando
la sentii per la prima volta, mi parve infelice, gratuita,
improbabile: “Tanto, non mi piace nessuno”. Ho finito per
rispecchiarmici, per scoprire che non è un vezzo, è una
disperazione. È una malattia,
dell'anima, della ragione e della fede, perché un caso come il mio
può curarlo solo una fede. E invece non c'è, e dunque non c'è
medicina, e può solo peggiorare. E non mi consola neanche un po',
non me ne vanto neanche un po'. Mi fa paura.
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