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CI VORREBBE UN AMICO



C'era una volta che avevo un amico. Siamo cresciuti insieme sui banchi di scuola, poi anche dopo e lui si metteva sempre in qualche pasticcio e poi chiamava me: “Devi aiutarmi, sei mio amico”. Io, le prime volte, lo aiutavo sempre, poi ho cominciato a scocciarmi un po': “Perché sempre a me? Non ce l'hai altri amici?”. “No, tu sei il mio migliore amico e spetta a te aiutarmi”. E io lo aiutavo. Siamo cresciuti, ci siamo separati fisicamente, abbiamo preso strade diverse, ma sempre in contatto e ogni tanto ci si ritrovava e comunque, prima o dopo, ecco l'inesorabile pretesa: “Devi aiutarmi, sei mio amico”. Siamo arrivati all'età della ragione, l'abbiamo oltrepassata, ma il mio amico, invece di ragionare, dava sempre più i numeri, infilava una cazzata via l'altra e ogni volta: “Giuro che è l'ultima, ho imparato la lezione, ma adesso, come vedi, tengo famiglia e tu devi aiutarmi, sei mio amico”. Io un giorno, dopo una vita che andava avanti questa solfa, mi son fatto due conti e ho concluso: dunque, tu nel tempo sei diventato milionario, senza alcun merito, solo ereditando a scadenze regolari; campi di affitti, di rendita, prendi anche uno stipendio multiplo del mio “solo per leggere il giornale, in realtà non mi fanno fare altro”. Sei capace di bruciare venti, trentamila euro per un capriccio. Hai una residenza incastonata nel cuore della città, se ti affacci quasi tocchi la Cattedrale, e non è neanche l'unica. Puoi svernare dall'altra parte del mondo, puoi fare quello che vuoi. Io finirò di pagare la mia catapecchia, l'unica che ho mai avuto, quando sarò decrepito. La mia macchina è decrepita. Non faccio una vacanza più o meno dalla nostra maturità. Non ho mai avuto un diritto, una garanzia, e sento sempre parlare i garantiti, li sento sempre insegnarmi che loro sono i cuori sociali ed io uno squallido egoista. Ma io non posso mai fermarmi, continuo a produrre, a scrivere, a lavorare per mettere insieme il pranzo con la cena, e, nel tempo libero, bado a mia madre (che ti ha ospitato centinaia di volte e non mi hai mai neppure chiesto se era viva dopo la sua malattia). Qui c'è qualcosa che non torna. Ma ho deciso di aiutarti per una volta ancora. L'ultima. Mi sei capitato tra i piedi, e naturalmente mi hai ricordato: “Sappi che tu sei il mio amico, quindi mi devi aiutare”. “Ma ti sto aiutando”. “No. Non basta. Questo non è aiutare: se non mi lasci fare quello che voglio, non è vera amicizia”. “E cosa è che vorresti veramente?”. “Fare i miei comodi, metterti in imbarazzo, molestare le tue conoscenze, trascinarti in queste simpatiche abitudini”. Allora mi sono veramente girati i coglioni e, dopo 39 anni, in 5 minuti l'ho smammato. Lui all'inizio ha protestato, mi ha insultato, “Non vali niente, non sei un amico, sei un uomo di merda, una delusione, e sei anche un terrone”. Ho chiuso tutti i contatti. Poi, un giorno, ho ritrovato, per sbaglio, un messaggio che mi era sfuggito. “Vaffanculo, fallito”. Sopra, c'era la foto di lui con una puttana russa.

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