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I MARI DI DENTRO



(pt. 1) TUTTO IL MIO ASPETTARE
Fiocchi di neve coprono sorrisi. Occhi vecchi d'un bianco lungo mesi. Sere senza atmosfere vanno a fondo come i miei anni privi ormai di senso, non fanno testo, non contesto, non conto. Mancheranno sempre le stazioni famigerate di binari e assassini che lasciano scie ruvide fra i treni. Viali mortali se la nebbia li assale. Rabbia che sospiri mentre sale di mefitici vortici a spirale. Salici piangenti di catrame. Cavalcavia sotto un sole di rame. Vuote domeniche nella città infame. “Dove stai?” “No, tu come stai!”, ma che parole insane se c'è niente da dire, da ascoltare tranne il silenzio-assenzio che stordisce denso sulle vie lisce di dolore. Tossici in abissi del metrò. Mosche al muro che non toglierò. Gallerie ripiene d'arpie, banchettano aborti, girotondi storti, scompigliate voglie come scaglie di sbagli che vuoi serbare cari: ma spari assurdi, suoni sordi avverti se li perdi in rettilinee sorti a tangenziale piena di una totale disumana assenza di solida lealtà: fazzoletti di carta, macchie stanche, puzzano di sconfitte, storie sporche. Lattea notte trafitta da sirene. Isteria metropolitana, scemi di follia gettati a sorte nelle strade, nei vicoli lerci, folle di sorci usciti dalla tana. I mattoni delle periferie. Stinti autolavaggi le mie idee, stracci che lascio stesi ad asciugare al rumore di fondo del ricordo, sinfonia d'istanti convergenti da ragioni distanti ad ogni torto: tornerà distorto quel riassunto inclemente d'epici momenti: luci di semafori specchiate in lacrime di pioggia congelate sui vetri di macchine impazienti. Hai in gola antichi scorci ma non sei tramonti a piovere sulla città, sui balconi prima della sera, quando l'aria odore più non ha. Non sei concerto di gocce d'aprile, tenda struggente lucida e sottile. Non sei la scuola che hai lasciato sola, vuota di te mentre ancora ti chiama. Evirato già d'una preghiera, non t'importa chi risponderà ora. L'ombra dura d'uno stadio morto, ricoperto di stridori spenti. Quegli antichi fumetti finti di realtà, quei campetti, giardinetti, muretti dove più d'una volta ho vinto anch'io, che adesso mi detesto più di quanto m'amassi, i miei respiri rantolano sassi nel fiume, la negazione stessa dell'esistere e ho fame di far saltare questa bomba a tempo che non sa scattare. Fiammelle di buio sono quelle che ingoio, bolle di solitudine che abbaio a cartelli stradali strepitanti inutili comandi contro i venti. Trama tremolante delle stelle che accendono punti interrogativi. E traffici di genti avanti e indietro, nelle sale d'imbarco brulicanti umanità che si rovescia in mondi scagliati da una fionda immane, comete vive ad infilzare il cielo... Io non volo, non ho più ali, né navi da bruciare, o porti. Da troppo tempo non ritrovo canti d'estasi grondanti sudore, non trovo gl'incanti del Natale, non c'è più niente che mi può scaldare. A che è servito tutto il mio aspettare? Il mio sperare fragile nel sole? Danza di suore lungo l'arenile: un bambino avanza nel dolore quando si guarda attorno e più non vede una madre e un padre trepidare. Sentirai quel rimbombo del cuore ora che esplode folle di capriole e rimbalza sulla luce del mare e nel silenzio rotola a morire.



(pt. 2) BENZINA
Odor di legno di cartoleria. D'eternità che un sogno soffia via. Di benzina dolciastra ed assassina, budino di smog che scampo più non dà. Di zoo, per mano a papà che mi ci porterà se sarò buono... Di cinema, di metropolitana. Di giocattoli rotti nel mio cuore. Odor di casa d'una vecchia zia. Vaccini, municipio, infermeria. Odore dell'antica scuola mia, prima prigione gonfia d'allegria. E banchi e banchi e banchi e ancora banchi e cresco e non ho più un banco per me, nomade al guinzaglio della vita. Figlio d'un liceo che è casa mia. Odore d'una sera di settembre. In motorino passo e sono là, accovacciati tutti nel tramonto ad aspettare l'apertura già della galera magica matrigna dove odore di donne, delle canne regna nel mare amaro d'ansietà. Odor di fiori dritti nell'asfalto, come faranno solo Dio lo sa. Odor d'erba bagnata sulla strada, nell'aroma che c'è ma non so dire. Odore di calore di rugiada nell'odore di odore di città: e questo è tutto per chi estate non ha. Odor di false gite all'Idroscalo, surrogato di cielo di festa di vita già appassita e mai capita. Odore di lasagne, di Romagna gioiosa d'un'età sinuosa. Di treni deprimenti osceni lenti. Odore di gabbiotti di campagna. Di biciclette a scorrere indolenti tra le case traboccanti rose. Nudo odore di desolazione, tanfo stordente di sonno in stazione. D'insegne gialle polverose e stinte. Odor di viaggiatori e traversine. D'assurdi libri dietro le vetrine. Giornali usati sulle bancarelle. Odore di frittelle così buone appena cotte, non me le fai più. Odore di squallore nella notte. Odor di botte, di stalle e di morte. D'assassino che passa vicino e non lo sai e non lo saprai mai. Odor di guai. Odore di rosolio. Oppure d'odio, o ancora di stupore, d'andar d'onde allo sbando quando cado profondo dentro un quadro o nella radio che parla dal mondo, da un frammento. Rotondo odore di fotografie che sorridono e mi si ferma il cuore. Perle nel bicchiere da spezzare. Doppiofondo di sconvolta mente. D'una volta che non c'è mai stata. Sulla scia di dove piscia un cane. Odor di santo caos, di scatti e tuoni a riscoccare schegge d'emozioni. Odore di negozi scandalosi. Viali piovosi e cinema spettrali e cattedrali di gioia da scalare e camminare fino a stare male. Freccia nel traffico. Odor di motorini, di miscela. Di pericolo nel posto sbagliato. Di pomeriggi in casa del mio amico e fuori sul balcone, te lo dico, aleggia il mio destino da campione. Odore di partite di pallone. Di musica che culla il ricordo del mio gol più stupendo. Odor di vento. Un fantasma avvolto nel canto nel tormento d'un volto che rammendo d'un filo rosa di trasalimento. Odore di dolori, più di cento ma che resta da fare a questo punto? Odor di solitudine e follia di un'incudine nella mente mia e braci ancora di pensieri atroci e voci che rimbalzano veloci. Natali abortiti tutti uguali. Ratti in doppiopetto travestiti. Odore di sospetto per me stesso: passo allo specchio e mi sorprendo vecchio, vuoto di giorni forse mai vissuti. Di ritorni serrati nella morsa di rimorsi inutili e spietati. Profumo di poesia, se non dispiace. Di questa voce mia che non ha pace ma va bene così, torrida e truce. Odor di luce. D'infinito e baci che si danno i ragazzi come mici e sembrano sorreggere palazzi tirati su per la scenografia di un amore che nasce per morire e che nessuno riuscirà a salvare. Dimenticato odore di mattina. Odor di luna, bella e stralunata. Della marea d'amore diluviato. Odore di sfortuna, che vuoi fare? Odore del passato langue ancora disciolto nell'odore di paura. Lasciato un giorno a vagolare chiuso in una sera adesso come allora memorabile sì, ma quale scusa posso trovare per la mia rovina?

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