Provare struggimento e
compassione per un malato grave dovrebbe essere fisiologico prima
ancora che doveroso, un moto di umana solidarietà: mi hanno tolto
pure questo, lo hanno stravolto in insofferenza, c'è questa
sciatrice che da una o due settimane, da quando ha saputo di avere un
tumore, lo va dicendo da tutte le parti a tutte le ore: finiti i
telegiornali, è passata ai programmi del pomeriggio, oggi stava a
“La vita in diretta”. Faccia come crede, ma è normale
trasformare una malattia terribile in un reality? “Tornerò più
forte di prima”, “Non ho finito i sogni da realizzare”, le
solite frasi stupide, a effetto platea televisiva, che non vogliono
dire niente. Se lo scrivi ti tacciano immediatamente di insensibile,
di carogna, l'interessata probabilmente obietterà che lei lo fa
“anche per gli altri, per comunicare coraggio”. Tutte balle, se
c'è qualcosa di totalmente estraneo al coraggio è questa passerella
allucinante, questa sovraesposizione grottesca, questo autocinismo
demenziale, ogni tanto bisognerebbe anche avere il coraggio della
discrezione, se non altro per chi vive nella stessa angoscia e la
spende nei reparti di chemioterapia anziché gli studi televisivi. Ma
che società è mai questa, dove tutto serve a sentirsi celebri,
anche una malattia maligna? Che razza di umanità disumanizzata
stiamo diventando, con quali comportamenti innaturali, disturbati,
egolatrici abbiamo a che fare, senza neppure rendercene più conto?
“Tornerò, più forte di prima”: applausi, viva la sciatrice
abbasso il tumore. Siete riusciti a farmi detestare perfino una
malata di cancro, ma la colpa non è mia, è della malata e degli
squallidi che le danno corda.
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