Quando, ieri sera intorno
alle 21,30, è rimbalzata la notizia di un attentato a Manhattan,
nessuno sapeva dire cosa fosse successo ma una certezza pareva già
definitiva: “Non è terrorismo”, il mantra insopportabile, arrogante, tinto di
falsità assurda: un furgone si lancia su una pista ciclabile, falcia
bicicli, spiaccica ciclisti come mosche, spara per sovrannumero, ma
“non è terrorismo”. Talmente non lo era, che poco dopo la
disinformazione ufficiale, globale, ha dovuto ammettere quello che
ogni persona provvista di buon senso aveva capito subito e cioè che
l'attentato, otto morti, venti feriti, si deve a un ventinovenne
uzbeco con carta verde che ha lanciato il suo mezzo urlando “Allah
Akhbar” e che, una volta fermato, ha “dedicato” il suo gesto
all'Isis. Su quali sicurezze riposavano le certezze diffuse subito
per il mondo? Su quali opportunità? Mesi fa, una testata svizzera ha
svelato una direttiva che obbliga la polizia tedesca a sviare la causa di ogni
attentato, a maggior ragione di matrice islamica, per non pregiudicare la leadership al
governo, nella fattispecie quella della cancelliera Merkel. Lo
stesso, comprensibilmente, accade in tutti gli altri Paesi raggiunti
dal terrorismo islamico. Ma non ci si vuole fare i conti, si
esorcizza, si omette, ci si autocensura. Il primo a non dire le cose
come andrebbero dette, è questo papa che pretendono simile a Cristo mentre è un clone di Ponzio Pilato. Altrove, si cerca di salvare il
salvabile nel segno dell'indecenza: “Non strumentalizzare
politicamente”, dice il sindaco marxista di New York De Blasio, una
figura miserabile, inadeguata a un villaggio montano semiabbandonato, figurarsi la città più importante al mondo. Il belpensiero progressista gli dà
manforte attribuendo le stragi prima alle armi, alle dinamiche
interne americane, quindi a Trump, poi, quando non può più smentire
ciò che si staglia palese, scaricando comunque il barile su Trump: è
un gioco win-win, vincono sempre i buonpensanti, è comunque colpa di
Trump. Volendo delirare, ma in modo un po' più serio, allora si
dovrebbe concludere che, se mai, è colpa di Obama. Non divago, mi
fermo qui. Se tanto mi dà tanto, mi sento autorizzato a dubitare,
più precisamente a non credere mai, e dico mai, a chi mi ripete il
mantra, “non è terrorismo”. Anzi, la consideravo, e a maggior
ragione lo farò da qui in avanti, la cartina di tornasole, la
conferma che ciò che non si vuole che sia, in effetti è. Altro che depressi, delinquenti comuni, lunatici in libertà. È
terrorismo, è terrorismo islamico, è l'ammissione della nostra
impotenza. E si deve a soggetti ben precisi, ben conosciuti e regolarmente ospitati.
il corrierone di cairo, a un certo punto, titolava "l'attentatore viene dalla florida".
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Il Corriere di Cairo ormai è il giornale grillino serio, rispettabile; quell'altro è il Fatto.
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