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INDIGNATI DI CHE


Tra i danni della rivoluzione informatica, l'inconsistenza narcisistica dei molesti. Sei in ospedale che imbocchi tua madre in un oceano di dolore e, plin plin, arriva la tempesta patetica che passa dal telefono. Stavolta sono di due specie comunicanti, i grillini democratici, estasiati dal santone che irride i barboni da 10 euro a pezzo, e quelli del paese più bello del mondo, così bello che ci hanno appena scannato una ragazzina. Plin plin, tutti furibondi a difendere il buon nome del paese, che poi coincide col proprio, laici ed ecclesiastici tutti contagiati da questa droga immaginaria, dell'immagine, in un profluvio di anatemi e di minacce a volte demenziali, da cui l'involontaria comicità degli inviti vescovili a non odiare. Perfettamente autografi, c'è pure la fotina della comunione o il matrimonio, perché, insegna Grillo, i giornalisti non meritano scrupoli, sono “leoni da tastiera” e da safari. Il buon nome del paese lo avrei compromesso io, non chi fa fuori una paesana nell'indifferenza generale e peraltro riconosciuta con le televisioni, i giornali. Chi sono questi, cosa vogliono? Sono quelli che non accettano il diritto di cronaca e di critica anche se, da promossi in blocco alla scuola di massa, hanno capito tutto. Sono quelli che fanno le marce per la libertà d'informazione, purché non nel loro giardino, quelli che non vogliono o non riescono a capire che le pietraie, così come mostrate dai telegiornali, sono (fino a un certo punto) l'unica metafora possibile per indicare luoghi dove l'annientamento di una adolescente è preceduto e seguito da una faida di bottiglie incendiarie, agguati, promesse di vendetta al punto che la stessa madre della vittima deve invitare alla calma. Che villaggio specchiato, immacolato! Queste sentinelle della buona fama hanno un sistema infallibile per contestare chi vede quel che c'è, basta accusarlo di razzismo. Senza pensare che da sud a nord sono identici in quell'atteggiamento prevedibile e noioso: “Ma tu che vuoi, ma ci sei mai stato qui, ma come osi? Tu quell'articolo lo devi togliere perché a noi non piace e qui comandiamo noi”. Giusto, il dovere di vedere, di raccontare ormai è inteso come corteggiamento, seduzione pubblicitaria, da cui la scandalosa fortuna degli sciacalli del dolore tele-pietistico. Nessun problema se con l'aumento del benessere a prato basso e delle comunicazioni, della tecnologia, il modello vincente diventa quello del laidume televisivo e della ferocia gratuita, della drammatizzazione stracciona che si riflette in se stessa. Soccorre il vittimismo forcaiolo, l'orgoglio municipale, il risentimento deprimente di chi ti scrive “Ma io ho una laurea, io sono stato anche a Milano”. La cosa più tragica è che nessun giovane sembra uscire dalla capsula egoriferita dell'io sono indignato, nessuno sembra scosso da una voglia di diversità, di riscatto, dalla stanchezza di chi vorrebbe vivere sicuro in un paese civile, non su un set immaginario del Grande Fratello. Basta liquidare il criminale come un difficile, vittima lui pure delle circostanze, delle droghe ricreative che nessuno lo obbligava ad assumere. “E poi non è neanche nato qui”, mi ha precisato uno. Plin plin, perché non mi dai retta? I più cretini sono i più frustrati e dunque insistenti, quelli col curriculum delle intenzioni sul profilo. Plin plin, “Non ti vergogni neanche un po' di quello che hai scritto?”. Sì, mi vergogno molto di avere lettori così, che sull'annientamento di una loro compagna non si pongono una sola domanda però corrono a metter su un comitato delle esequie televisive, così fanno bella figura e ripuliscono il buon nome.

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