È tornata a galla una
vicenda lontana che fa ancora male, almeno a me, perché la polvere
del tempo, delle ossa, quasi mai è indolore. L'aveva raccontata
Giampaolo Pansa nel “Sangue dei vinti”, è una vicenda politica,
di criminalità politica, di follia politica ma io, qui, mi astengo,
e voglio che sia chiaro, da qualsiasi allusione o
strumentalizzazione. È il caso di una ragazzina, Giuseppina Ghersi,
che il 25 aprile 1945, mentre tutti festeggiavano il ritorno alla
vita con la fine della guerra, vedeva concludersi la sua esistenza, a
13 anni, e nel modo più atroce: stuprata, torturata, infine
liquidata da una banda di partigiani. Oggi. settantadue anni dopo, a
Noli vicino Savona, volevano dedicarle una targa, un cippo, non si è
capito bene ma l'Anpi, l'associazione dei reduci partigiani, ha detto
no, considerando la piccola martire in fama di fascista. Una bambina
tredicenne. L'avevano rasata a zero, coperta di vernice rossa,
condotta in ceppi come un Cristo, poi stuprata e massacrata e lei
piangeva col filo di voce che le restava, “Aiutatemi, vogliono
uccidermi” e difatti una raffica la finì. Tredici anni. Neanche di
famiglia fascista, era. Tante, tantissime cose si potrebbero
osservare, si potrebbe fare del sarcasmo amaro, si potrebbe
filosofeggiare sulla crudeltà insana della guerra, si potrebbe... Io
non voglio scrivere una riga, una parola di troppo (lo stesso impegno
mi aspetto da chi leggerà queste mie inutili righe). Mi resta in
mente solo un numero. Tredici. E una faccia, dalle foto che ho visto.
La faccia di una tredicenne del 1945. L'Anpi di Savona non ha dubbi e
non ha scrupoli, “provocazione delle destre”, “era una
brigatista nera”, e dicono perfino di peggio. Tredici anni. E, dopo
mezzo secolo, non può ancora ricevere la giustizia di un ricordo.
Tredici anni.
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