Il tizio africano col
cartello “più salvati meno Salvini” ieri alla marcia stradaiola,
nel senso di Gino Strada, no muri di Milano è uno messo lì a fare
quel che gli dicono di fare (insieme agli altri, carnevaleschi, con
identici cartelli No Minniti, No Orlando, per dire no ad ogni dovere
e responsabilità, sì a tutto quello che pretendiamo). Uno che non
ha alcuna coscienza che non sia quella del mi spetta, un
rivendicativo sindacale che vive felice perché è stato adottato
come testimonial e ha finito i suo problemi. Ma gli altri? Il
reprobo, Salvini, gli ha risposto su Facebook ricordandogli l'accoglienza dei 13000
morti affogati finora: non è un problema del tizio col cartello, lui
vive bene facendo l'uomo sandwich dei “borghesi senza problemi”
come il sindaco Sala, di cui parla il sociologo Ricolfi per dire
gente altruista a parole, egoista e falsa nel concreto. Più salvati,
meno Salvini: come, quando? Questa, sarebbe integrazione? I muri ci
sono ovunque, checché ne dicano papa Francesco e gli
anarcoinsurrezionalisti, i fannulloni dei centri sociali; i muri, i
passaggi, le porte caratterizzano città e civiltà perché sono
difensivi ma non fissi, si aprono all'occorrenza altrimenti si
richiudono. No muri sì ponti è uno slogan demenziale, che forse
solo a Milano, Italia, può trovare un suo recondito senso. Ma
l'integrazione è altro, non è girare con un cartello sindacale
contro il Salvini di turno, è fornire un contributo alla società
che ti assorbe sentendo di farne parte e io non ho mai visto niente
del genere né negli africani né negli arabo-islamici sbarcati:
nella migliore delle ipotesi si fanno gli affari loro, nella peggiore mendicano e/o delinquono, ciò che conviene non
vedere, come quell'albergo sul mare, dalle mie parti, pieno di
rifugiati che, chissà come, sono sempre visitati da notori
spacciatori, anche spacciatrici, perché le donne sono meglio. Ma non collaborano, non apportano, anche perché
l'educazione che ricevono dal sistema assistenziale locale è tutta puntata sui diritti: ti spetta questo, ti spetta quell'altro, mai sui
doveri, la magistratura chiude gli occhi, la polizia si adegua, i
politici che non hanno problemi blandiscono, i fabbricatori di
opinioni programmano scenari che mai si avvereranno, il cerchio della cecità irresponsabile lo chiude il papa che va a
fare la sua recita nei tuguri di Ostia, naturalmente con troupe al seguito che
riprende la patetica commozione di quelli dell'alveare. Ma è
così bello riempirsi la bocca di ponti, non di muri! Integrarsi però
non è il cartello antisalvini e non è una faccenda di pura sussistenza, la convinzione che tutto
spetti, che gli italiani sono fascisti, restano fascisti comunque, a
prescindere da quello che concedono, che tollerano, non è il solito gioco sindacale del rialzo senza limite ed io, scusate, di
migranti che, qui sbarcati, si mettono a disposizione della comunità
che li ha accolti, ne conosco pochini; l'eccezione – parziale, poco o
per niente valevole per islamici e maghrebini - è per chi qui nasce,
cresce, ma a quel punto il discorso è tutto diverso. Quando sentirò
un migrante porsi il problema di cosa può fare lui per l'Italia, non
sempre solo cosa l'Italia deve (deve?) fare per lui, ne riparliamo.
il tipo col cartello mi ricorda un nero finito nelle grinfie di quei tipi di lotta comunista. l'avevano messo a vendere quel fogliaccio imbrattato perché "così capisce come funzionano le cose".
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