Come sopravvivere in un
Paese dove uno su tre è pronto a votare Grillo, dove ogni politica è
fetida, dove le mamme in fregola fanno una parodia di Gabbani con la
scusa del menu scolastico dei figli, dove una come Selvaggia
Lucarelli è più ascoltata di un oracolo e uno scienziato come
Burioni deve sudare sangue per far capire che senza vaccini è
epidemia sicura? Mi ci sono arrovellato anni, decenni, avvelenato
anche dal mestiere, la condanna di scrivere, spiegare per mestiere
quel che spiegare non si può, un posto dove il ladro chiama ladro il
derubato, dove i carnefici diventano vittime e le vittime aguzzini,
dove se ti fanno una strage gli imbecilli si precipitano a dire che è
colpa nostra e come non bastasse ci ritroviamo un papa delirante che
finisce sulle copertine delle riviste pubblicitarie. Già, come
sopravvivere in Italia? Montale, a domanda, rispondeva: non
vivendolo. Ma è difficile, è una risposta da poeta laureato, da chi
se la può permettere. Alla fine ho trovato la quadra, che non sarà
da poeta ma è efficace: vivendolo a tempo. Cioè vivendoci fin che è
inevitabile, ma decisissimo a lasciarlo appena possibile e non un
secondo più tardi. Stiamo già attrezzandoci, mia moglie ed io, per
studiare percorsi di vita alternativi in qualche isola e non è una
formula retorica, un modo di dire. Qui nessuno di noi lascia niente,
se non rabbia e frustrazione. Qui non c'è futuro se non quello di
una indecenza esponenziale. Qui sarà sempre peggio. E noi ci stiamo
già guardando intorno. Così diventa vivibile l'invivibile, così
diventa sopportabile osservare il gran verminaio dove tutti si
compiacciono di strisciare, di lasciare scie di sudiciume organico e
morale. Non è male questa prospettiva, questo nuovo distacco che
amputa dell'empatia e della disperazione. Viverci già da estranei,
da clandestini, declinando un conto alla rovescia forse ancora lungo,
ma non infinito.
Commenti
Posta un commento