La
sera sul tramonto io prendo la Vespa, e viaggio, e giro ed ogni luogo
mi parla della mia solitudine, una solitudine tanto crudele che mi
riporta una tenerezza lacerante. Lì c'ero io, in quegli angoli,
tentando disperatamente di vivere. Qualcosa è rimasto di me, di noi,
i nostri fantasmi che si sorridono spaventati. Lì c'ero io,
ombra in tramonti di latte, avvolto in camicie di forza di silenzio.
Lì sono tornato ad ascoltare il canto degli uccelli, i fili d'erba
crescere, il mio talento bambino, ed ho imparato a trasformarli in
sensazioni pronte per essere raccontate. Trasmesse come un virus. Lì
sono ancora io, in tutte le mie estati buttate, nei Natali mai avuti,
foglia soffiata via con tutta la sua voglia di vivere. Io viaggio
sulla Vespa e ad ogni luogo chiedo a Dio "perché", ma Dio
non mi risponde e il suo silenzio è lo stesso di allora, è una
sentenza, una condanna che non so capire, che non posso accettare. La
sera sul tramonto io prendo la Vespa e mi concedo una replica del
dolore; vado in tutti i posti che mi hanno ferito, ci torno per
fuggire via, ma ogni volta qualcosa resta attaccato. La coscienza
della vita uccisa ogni sera, ogni tramonto, la bava del destino che
mi ha consumato e ogni sera, ogni tramonto, finisce la sua opera,
fino all'ultimo pezzo di me.
Tanto per scherzare.. Personalmente sono sempre stato lambrettista, migliore tenuta di strada in curva - ma il "vespone" mi arrapava...
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