Fiocchi di
neve coprono sorrisi. Occhi vecchi d'un bianco lungo mesi. Sere senza
atmosfere vanno a fondo come i miei anni privi ormai di senso, non
fanno testo, non contesto, non conto. Mancheranno sempre le stazioni
famigerate di binari e assassini che lasciano scie ruvide fra i
treni. Viali mortali se la nebbia li assale. Rabbia che sospiri
mentre sale di mefitici vortici a spirale. Salici piangenti di
catrame. Cavalcavia sotto un sole di rame. Vuote domeniche nella
città infame. “Dove stai?” “No, tu come stai!”, ma che
parole insane se c'è niente da dire, da ascoltare tranne il
silenzio-assenzio che stordisce denso sulle vie lisce di dolore.
Tossici in abissi del metrò. Mosche al muro che non toglierò.
Gallerie ripiene d'arpie, banchettano aborti, girotondi storti,
scompigliate voglie come scaglie di sbagli che vuoi serbare cari: ma
spari assurdi, suoni sordi avverti se li perdi in rettilinee sorti a
tangenziale piena di una totale disumana assenza di solida lealtà:
fazzoletti di carta, macchie stanche, puzzano di sconfitte, storie
sporche. Lattea notte trafitta da sirene. Isteria metropolitana,
scemi di follia gettati a sorte nelle strade, nei vicoli lerci, folle
di sorci usciti dalla tana. I mattoni delle periferie. Stinti
autolavaggi le mie idee, stracci che lascio stesi ad asciugare al
rumore di fondo del ricordo, sinfonia d'istanti convergenti da
ragioni distanti ad ogni torto: tornerà distorto quel riassunto
inclemente d'epici momenti: luci di semafori specchiate in lacrime di
pioggia congelate sui vetri di macchine impazienti. Hai in gola
antichi scorci ma non sei tramonti a piovere sulla città, sui
balconi prima della sera, quando l'aria odore più non ha. Non sei
concerto di gocce d'aprile, tenda struggente lucida e sottile. Non
sei la scuola che hai lasciato sola, vuota di te mentre ancora ti
chiama. Evirato già d'una preghiera, non t'importa chi risponderà
ora. L'ombra dura d'uno stadio morto, ricoperto di stridori spenti.
Quegli antichi fumetti finti di realtà, quei campetti, giardinetti,
muretti dove più d'una volta ho vinto anch'io, che adesso mi detesto
più di quanto m'amassi, i miei respiri rantolano sassi nel fiume, la
negazione stessa dell'esistere e ho fame di far saltare questa bomba
a tempo che non sa scattare. Fiammelle di buio sono quelle che
ingoio, bolle di solitudine che abbaio a cartelli stradali
strepitanti inutili comandi contro i venti. Trama tremolante delle
stelle che accendono punti interrogativi. E traffici di genti avanti
e indietro, nelle sale d'imbarco brulicanti umanità che si rovescia
in mondi scagliati da una fionda immane, comete vive ad infilzare il
cielo... Io non volo, non ho più ali, né navi da bruciare, o porti.
Da troppo tempo non ritrovo canti d'estasi grondanti sudore, non
trovo gl'incanti del Natale, non c'è più niente che mi può
scaldare. A che è servito tutto il mio aspettare? Il mio sperare
fragile nel sole? Danza di suore lungo l'arenile: un bambino avanza
nel dolore quando si guarda attorno e più non vede una madre e un
padre trepidare. Sentirai quel rimbombo del cuore ora che esplode
folle di capriole e rimbalza sulla luce del mare e nel silenzio
rotola a morire.
Commenti
Posta un commento