Tre naufragi in cinque
giorni e 70 morti: bella, la preoccupazione dell'Unione Europea,
bella davvero: poi c'è ancora gente che ha il coraggio di definirsi
"europeans", come in quel radiospot insopportabile del PD,
che tuttavia, come ogni partito (inclusi i refrattari a parole), ha
evidenti motivi di lucro per volerci restare, in UE; ma se i
risultati sono una strage quotidiana, conviene farne a meno anche
perché questa Europa non farà mai niente, questo si è capito, così
come niente ha fatto e sta facendo su qualsiasi autentica emergenza
continentale. Se invece si vuole apprezzare il ruolo di un mostro
burocratico che ambisce a regolamentare il nostro pensiero, i nostri
gusti privati, le nostre parole, allora è un altro discorso. Ma la
manfrina per cui l'Europa va bene anzi è inevitabile però va
riformata perché così serve a niente, tradisce un tale controsenso
che non serve neppure commentarlo. Poi si spiegano, si fa per dire,
certi editoriali come minimo discutibili come quello oggi di Feltri,
neodirettore di ritorno di Libero. A pelle, uno ne prende le
distanze: consigliare ai disperati di arrangiarsi, lasciarli affogare
finché capiranno che non conviene sbarcare qua, è un'altra idea che
si commenta da sola, senza contare che Feltri, uno che ha appena
preso un altro barcone di soldi per trasferire il suo culo da una
poltrona direttoriale all'altra, non è credibile quando si preoccupa
per "gli italiani che non hanno niente". Però tra
l'irresponsabilità di un Feltri e quella di un papa Francesco, per
il quale l'accoglienza prescinde da qualsiasi valutazione concreta, è
utopica al limite del demenziale, una misura deve esserci. Per forza.
Perché di sicuro, di trasparente, c'è una cosa, che questo afflusso
perenne viene rimosso, viene sottovalutato e l'idea è che si
insisterà ad assecondare il fatto compiuto fino a quando non sarà
irreparabile. Anche l'altra idea, che accoglienza equivalga
automaticamente ad integrazione, è tutta sballata, ma con la
sinistra visionaria non vale la pena confrontarsi. Spesso accogliere
vuol dire, duole dirlo ma è necessario, vuol dire esclusivamente
complicarsi la vita, perché queste masse che sbarcano, se ce la
fanno, non sono quasi mai civilizzate e non lo saranno, tanto meno in
un Paese che la sua civiltà la sta perdendo (ecco perché sono
importanti le radici, anche quelle di stampo religioso, sulle quali
non è necessario convergere, ma non è lecito prescindere). Io
potrei fornire esempi quotidiani, ma in fondo la mia esperienza è
trascurabile al limite del volatile. Però resto convinto di quello
che sostengo, perché è oltre la verità, è l'evidenza. Se
ragioniamo in termini di singoli, nessun problema, anzi. Se invece
parliamo per partito preso, quello dei migrantes a prescindere,
allora non ci siamo, restiamo alla rimozione forzata. Anche qui,
sussistono ragioni legate alla tradizioni e perfino ai genii sociali:
40 anni fa, l'italiana Italsider promosse un programma di espansione
e sviluppo in Zaire: era lo stesso periodo della storica sfida
pugilistica tra Ali e Foreman, il "Rumble in the Jungle".
Avevo parenti là, uno zio che dirigeva uno stabilimento. Rimasero
sei o sette anni, poi tornarono a casa, l'Italsider si era arresa,
non era possibile implementare niente di duraturo a quelle
latitudini. Poi si sarebbe detto che l'idea era sbagliata in
partenza, che non puoi chiudere in stabilimenti e fonderie così, di
colpo, gente nata libera; ed io questo lo capivo e continuo a
capirlo, a rispettarlo. Restava però, come resta, il problema di
capire in che modo promuovere una vita sociale ed economica in Stati,
Paesi refrattari ad ogni cambiamento. L'Occidente, massimamente
quello d'Italia, che è una provincia dell'Impero, e francese, usa
odiarsi (a parole), incolparsi per qualsiasi squilibrio globale: ma è
una posizione grottesca, perché le migliaia e migliaia di disperati
che arrivano, cercano proprio questo Occidente (anche se nessuno li
ha informati del reale stato delle cose), in fuga dai presunti
paradisi naturali che a noi piace immaginare. Chi per le guerre, ma i
più per evadere da condizioni invivibili, di insostenibile
sottosviluppo, fuggono. E fuggono per una ragione, fuggono perché in
secoli quei loro Paesi non hanno saputo dotarsi di nessuna
istituzione democratica e moderna, e non sembrano dare segni di
riscatto. L'impostazione trionfante, che è quella andante alla Gino
Strada, scarica la colpa alle guerre, che messa così è dire tutto
per dire niente. Come se le guerre fossero sempre e comunque le
legittime discendenti del colonialismo di uno, due o quattro secoli
fa. Ma in mezzo ci sono trascorsi cento, duecento, quattrocento anni.
Perché nessuno di quei Paesi ha saputo evolversi a livello di
sistema? Perché abbiamo avuto tra i nostri antenati i Colombo e i
Magellano e quindi dobbiamo sentirci "tutti colpevoli" in
eterno? Non scherziamo. Si escogita la formula della guerra, ma
andrebbe ribaltata: perlopiù trattasi di guerre intestine, faide
tribali, dittature infrangibili o subito risorgenti dai loro colpi di
Stato. Ovvero di conseguenze di quelle situazioni. Ora, anche gli
amici che ci chiedono aiuto (e che, appena ricevutolo, spesso si
mettono a protestare su questioni secondarie, tipo il menu),
dovranno, loro o chi per loro, pure realizzare un giorno o l'altro
che o si piegano alla logica di uno stato laico, decentemente
democratico, capace di sviluppare sistemi moderni che travalichino i
limiti del villaggio e della inerzia naturale, oppure ogni predica e
ogni solidarietà resteranno vane per sempre, e ogni tonnellata di
aiuti resterà inghiottita nella voragine del contingente (si
confronti la lezione dell'economista africana Dambisa Moyo, al
riguardo). Sono guerre che trovano il loro ventre molle in sistemi
arcaici, regni paleolitici, teocratici, totalizzanti. Quindi, vale la
pena ripeterlo, la prospettiva va ribaltata: le guerre, le stragi in
Siria e altrove, sono quasi sempre il prodotto - aberrante, infame,
da estirpare, ma il prodotto - di situazione endogene e indigene. Non
la causa. E le estirpi davvero solo superando, stravolgendo
completamente situazioni che non hanno sviluppato anticorpi di sorta
per sottrarsi ad una barbarie anacronistica quale è quella che
costringe le madri, i figli, i neonati ad affogare nel canale di
Sicilia. A milioni. Ci vuole una crescita, non una decrescita. Ci
vuole non restare infognati nel classico vagheggiamento
neopaleocomunista, come auspicano molti idioti o ipocriti da noi, ma
uno sviluppo vero cioè di stampo capitalistico, chiaramente
aggiornato ai tempi ma capace di scatenare iniziative, intraprese,
idee, progetti a lungo respiro. Altrimenti si resta allo stordimento
della rassegnazione e con simili presupposti, non c'è da stupirsi se
chi sbarca, da disperato, continua a condurre anche qui una vita da
sbandato. Il miracolo, è quando accade l'opposto, il miracolo è la
integrazione. Ma è, appunto, un miracolo, qualche cosa che riesce
contro tutte le aspettative logiche. Un po' poco, per cullarsi di
certezze. L'altra formula- standard, al volo e chiudiamo, è "anche
noi siamo stati emigranti" (a volte rimixata nel più evocativo
"quando i migranti eravamo noi"). Bene, quando i migrantes
eravamo noi, ci accodavamo all'ultimo gradino della scala sociale,
"eravamo" trattati di merda, e abbiamo saputo integrarci un
po' adeguandoci con umiltà e intelligenza, altrimenti organizzandoci
in sistemi criminali altamente perfezionati, secondo nostro talento
nazionale: strada diversa, censurabile, ma in definitiva ugualmente
funzionale ad una integrazione che difatti è maturata. Ma nessuno ci
ha fatto sconti. E, se qualche paisà osava
protestare perché non aveva la dieta personalizzata o i propri spazi
di culto, faceva una brutta fine. Mentre adesso la brutta fine la
fanno quelli che si ostinano a non avere la bacchetta magica.
Insomma, nessuno "ci" ha mai regalato niente, e la carne
"abbiamo" imparato a strapparcela dall'osso: basta questo
per fare evaporare la solfa quando toccò a noi, senza contare che
io, figlio e nipote di povera gente, povero a vita a mia volta, non
intendo sentirmi in debito con nessuno se centocinquant'anni o
cinquecento anni fa qualche sconosciuto connazionale ha ecceduto in
soprusi verso altri popoli: siamo matti, o cosa?
Intanto, continuano i
naufragi e le stragi. Continuano anche le promesse di una Unione
Europea "così com'è" che, con tutte le sue stelle, sta a
guardare; che serve a se stessa, e a poco altro.
Credo che la situazione sia molto oscenamente complicata:
RispondiEliminaIl traffico di migranti rende piu' del traffico della droga senza praticamente conseguenze penali.
La MM ci mangia alla grande a recuperare i migranti, situazione di emergenza,quindi nessun controllo sulle spese - chi vuol capire capisca, l'ammiraglio...
I migranti - giustamente - vanno in europa dove hanno vitto alloggio e paghetta.
Non si azzardano a sbarcare sulle coste degli Emirati, Israele manco ne parliamo.
Siamo una societa' in fase di implosione - il mi nonno diceva: si scava la buca dove il terreno e' tenero.