Alla sede del Moma di San
Francisco, per l'occasione ribattezzato Mona, un diciassettenne
lascia un paio di occhiali per terra: i visitatori si precipitano a
filmarlo e la provocazione grazie al web fa il giro del mondo, cioè
si risolve a modo suo in un'opera d'arte. Qui in Italia hanno subito
scomodato "Le vacanze intelligenti" di Alberto Sordi, ma
più per riflesso pavloviano, senza collegare l'unica scena davvero
pertinente, quella in cui la moglie buzzicona, Augusta, stremata si
lascia cascare su una seggiola e la scambiano per una scultura
vivente. Negli anni Sessanta si teorizzavano la (demenziale)
democraticità del genio, l'opera d'arte in quanto tale, la "merda
d'artista" e la pop art serializzata di Andy Warhol, che fingeva
di criticare la civiltà dei consumi ma invece ci marciava alla
grande. Negli anni Duemila e qualche cosa tira una ancor più
delirante convinzione e cioè che se una cosa gira per la rete,
"diventa virale", tanto basta e avanza a farne un
capolavoro: non si spiegano altrimente i video imbecilli del rapper
coreano Psy, del tutto privi di senso. Ma dare la colpa a internet
alla lunga sta diventando un alibi che non regge alla prova dei fatti
quotidiani. Giovedì mattina, a Porto San Giorgio dove vivo è giorno
di mercato. Tra le bancarelle un tipo allampanato, vestito da guitto
teatrale, più fine Ottocento che primo Novecento, strazia in un
microfono il classico "My Way": canta in modo così atroce
che viene il sospetto lo faccia apposta, tentando una farsa
estemporanea en plen air. Arriva gente, si forma un crocicchio, lo
filmano col telefonino, lui si esalta (faceva sul serio, altro che
ironia), alla fine ringrazia come fosse al Metropolitan. L'Italia, ma
forse il mondo intero, è pronto per un allucinante dittatura
dell'idiozia formato 5 stelle.
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