L'ora cambiava ed io
pensavo: è fatta. Quand'ero ragazzo funzionava così. Invece mi
separavano dalla felicità altri due mesi di eternità scolastica, i
più duri, con molte chiazze di freddo e l'estate non arrivava mai
specie a fine maggio quando la città mi entrava dalla finestra con
il suo carico di suggestioni nuove ma io non potevo coglierle. Mi
riducevo allo stremo. Le vacanze arrivavano e annottava alle dieci e
presto saremmo salpati per il mare, una mattina all'alba, in un misto
di eccitazione e nostalgia per gli amici del quartiere, per il
quartiere stesso da abbandonare. All'epoca, perché mi pare proprio
un'epoca, non eravamo “interconnessi” e i rapporti
s'interrompevano come in guerra. Tutti sparpagliati tra spiagge,
laghi, alture e quando tornavano dal fronte le giornate s'erano già
tagliate, quel limbo settembrino era breve e struggente. In un
attimo, Natale.
Così ho perduto tutte le
mie ore cambiate. Adesso aspetto questo riscatto della luce con
l'impazienza di allora, lo cerco nelle foglie nuove, nell'aria che pretendo accesa, ma so cosa mi aspetta: il tempo che mi
sgocciola fra le dita, la sensazione di non farmene niente, e per di
più, di solito, la prima sera “lunga” piove. Poi le giornate
continuano come prima, forsennate nella monotonia e le preoccupazioni
della mezza età, sempre meno mezza, mi sembrano diverse da quelle
dell'adolescenza. Non voglio dire più gravose: il peso della vita è
proporzionale alle sue stagioni e così le sue consolazioni: l'umile
compagnia che ci scambiamo con mia moglie nella casa dove rifugiamo
la nostra solitudine, l'inesorabile allegria dei gatti che si fanno
un dovere di farci dannare.
Ma prima c'erano gli
amici, le fantasie di un altro innamoramento, uscivano i dischi,
grandi cerchi di plastica nera, si potevano toccare, ciascuno era un
evento. E un fumetto era una scoperta, un viatico per i sogni. E
girare per la città a bordo delle nostre scarpe da tennis era
l'avventura di ogni giorno. E c'era una scadenza, la fine della
scuola, c'era un miraggio, la partenza per un altro mondo,
spensierato, libero. Adesso non c'è più niente per me, solo
l'inesorabile scansione delle sere su una trama di tramonti, muta
valle di vita che non riesco a comprendere, che ogni sera mi uccide,
sempre più lunga, sempre più inutile. E fa freddo a fine maggio, io
non lo so perché. Forse è il freddo nell'anima.
Adoro quest'illusione,
dovrei temerla e l'adoro. Ma ogni anno che passa fa più male e non
solo perché ne resta una di meno e chissà quante alla fine. È che
quell'ora fatale mi passa davanti, la guardo e non posso più
entrarci. Non scatta per me, non la vivo. Vorrei disperatamente
viverla e non la vivo.
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