In un supermercato sul
mare, vicino al famoso quartiere infame. Qui vengono i trans più
sconvolti, le puttane vecchie con gli artigli di dieci colori, aggressive, malate, sfondate, qui gli stranieri più feroci
e i capibastone in disarmo ma sempre pericolosi, gli sbandati con
voglia di sangue, i tossici, gli impestati. Qui insomma sarebbe la
poesia della strada, che poesia non è mai. Lo squallore si aggira
tra i reparti, quello del pane è misteriosamente chiuso, un'oasi di
abbandono nell'isola delle cose, comunque c'è poca gente anche se il
viavai è incessante: alla cassa una vecchia ha preso solo pacchi di
caramelle alla liquirizia, un altro vecchio fatica a infilare le
poche robe nella borsa: la cassiera lo aiuta, è giovane, gentile,
rassegnata, anche lei ha le unghie dipinte, inutilmente dipinte,
almeno qua dentro, in questa gabbia di estrema disperazione dove il
sole è sempre ghiaccio, le sere sono più lunghe e le tenebre fanno
paura. È sola, se qualcuno dà di matto non ha chi la difenda, non
trova scampo, la sua corvée diventa un film dell'orrore. La guardo,
sorride, dice “buona giornata”, proprio così dice e mi fa
accapponare la pelle, vorrei rapirla, portarla via ma riesco solo a
ripetere anche a te cara, come fosse mia figlia. Esco quasi fuggendo,
a testa bassa come un vile, salgo in macchina più presto che posso,
forse perché mi ricordo di quando anche io vivevo qui e respiravo la
stessa aria malsana, satura di crudeltà, orfana di tutti i domani.
Perché qui l'unica cosa certa è che non esisti, che tutto resta
uguale ed è mortale, stagione dopo stagione, possono passarne
ottanta, cento di stagioni e l'unica cosa che cambia sei tu, sempre
più corroso, più decomposto da questa vita senza vita, da questi
alberi senza colore, da questi labirinti del tempo. Penso alle tante
puttane, di un'altra specie, di tutti i sessi, facce maledette che
danno i numeri se non hanno cosa vogliono, se non diventano
famose, penso ai capricci di sangue, alle depressioni del cazzo, alle
angosce false, alle finte tragedie, ai mille pretesti che non bastano
mai, penso ai ragazzi modello Foffo e Prato che facevano il giro
della movida gay, un tiro 120 euro, un'inculata al buio, poi tirarsi
su i calzoni senza neanche sciacquarsi e via, nella prossima fogna,
un altro tiro, un altro pompino, un altro buco del culo, un altro delirio, un altro selfie,
la voglia di torturare qualcuno “per vedere che effetto fa”, la
voglia di ammazzare quel padre che in televisione mentiva, “Ho un
figlio modello, è il migliore di tutti”.
Il pezzo è bello, soprattutto per l'immagine della cassiera, di folgorante dolcezza come ogni tanto ti capita. C'è uno spunto che meriterebbe di essere sviluppato, ed è quello sulla poesia della strada . C'è tutta una letteratura, anche musicale, su questa retorica degli ultimi, di diseredati, del marciapiede, della strada e via di seguito. Affascina anche me; però sospetto che in realtà "la strada" sia quella roba che descrivi tu. Come la mettiamo ?
RispondiEliminaLa mettiamo che io so di cosa scrivo, dato che sulla strada ci ho vissuto per vent'anni. Altri ne fanno una questione estetica, come sempre quando una cosa la idealizzi senza esserci passato.
Eliminaconcordo, ti leggo e mi ricordo di qualcosa che già conoscevo, poi ho realizzato che l'aria che si respira è quella di on the road.....
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