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PRIMA CHE IL GALLO CANTI


A rimanere più impresse dopo l'ennesima strage in un college americano sono le facce, le storie delle vittime. Facce di gente umile, che frequentava una università di ultima scelta, sfigato pure il nome, per diventare pediatra, appassionati di softball, “figli perfetti”, sconfitti dalla vita che si erano rimessi a studiare a 60 anni. Facce, storie, sogni da ultimi, di quelle che ci vorrebbe Tom Waits a cantarle. Se l'è portate via un narcisista rabbioso. Nove nessuno, ma hanno difeso la loro fede fino alla fine, sapendo che sarebbe volata via con loro. Di storie così ne succedono tante, come ha detto il politico Jeb Bush, della nota famiglia di presidenti, e se ne vedono praticamente in tutte le serie televisive, l'America i suoi panni sporchi li lava in pubblico o perlomeno pubblicamente li esorcizza. Tutti puntano il dito contro le armi, che sono sì una assurdità americana, ma stanno diventando anche l'alibi perfetto, il dito da guardare anziché la luna. Non si domandano come mai così tanti squilibrati, egocentrici, deviati che una strage la farebbero comunque, in un modo o nell'altro, non ricordano che il loro trauma più ostinato, ricorrente in ogni film e in ogni singolo episodio, le Torri Gemelle, è stato reso possibile da due coltellini di plastica. Si scannano, in modo politicamente corretto, sulla circolazione delle armi, fanno le fiaccolate, il presidente Obama si è pure commosso. Però insistono con la pena di morte. Forse più che le armi, consuetudine malata di una società ancora più malata, andrebbero scoperti i motivi di un Paese spietato, che non ha più pietà, che ha smarrito ogni sua tenerezza. Questo disadattato di ventisei anni, Chris Harper Mercer, odiava tutti, i cristiani, i neri, la mamma carnivora che lo fagocitava, l'esercito che lo aveva espulso, odiava il perdente che vedeva nello specchio, così diverso dai perdenti che avrebbe trucidato, così pieno di vuoto quanto quelli erano pieni di sogni in saldo. Lui amava solo le armi e il se stesso che non poteva essere, che allo stesso tempo odiava, proprio come nei telefilm, che quando finalmente lo prendono, chiedono al fanatico: perché l'hai fatto?, e lui sempre la stessa motivazione, la più miserabile possibile: mah, volevo diventare famoso, volevo si parlasse di me, però adesso voglio farla finita. Un altro lunatico cercava pretesti e li ha trovati in nove nessuno, ciascuno a suo modo eroico, che volevano diventare infermieri, riempire d'orgoglio i genitori o riscattare se stessi. Nessuno fra loro ha ripudiato il suo Dio, nessuno ha fatto cantare il gallo tre volte. Piccole immense storie patetiche, sogni strazianti e commoventi per i quali c'è sempre meno rispetto, sempre meno pietà. E le annunciano anche, le mattanze questi pazzi, le anticipano su Facebook con tanto di anteprima, proprio come nelle serie televisive: come sia possibile che non vengano presi sul serio, resta un mistero. Ma non è meno inspiegabile come si possa risolvere tutto additando in modo ossessivo le armi anziché chi le maneggia, con i suoi demoni trascurati, con la voglia stragista da sfogare anche a mani nude o trafficando con la scatola del piccolo chimico. 

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