Un piccolo strazio la morte di Andrea, il ventisettenne di Borgo d'Ale che si è impiccato saturo di bullismo e ha affidato al luogo dove i suoi tormenti diventavano pubblici, Facebook, l'ultimo addio. Un piccolo silenzioso strazio che passa in un lampo perché le cronache hanno da occuparsi di altri eroi e uno così, con quella faccia lì, uno del quale si dice troppo timido, troppo fragile per non dire che non è come gli altri, che non si sa difendere, uno così non interessa a nessuno. Non interessa alla polizia che lasciava correre, non alla magistratura pilatesca, non ai solidali di mestiere, non alla politica, non a quelli del villaggio che tale non è se non ha uno scemo da sacrificare. E Andrea ha capito e l'ha fatta finita, non voleva più che il mondo vedesse, non voleva più specchiarsi in quei video dove faceva la fine della spazzatura. Uno così, un capro espiatorio, la vittima perfetta che passa di sopruso in sopruso, finché non ne può più. Uno così, da morto, non interessa neppure ai suoi aguzzini, basta verificarne le dichiarazioni ai giornalisti, l'istinto di compatirlo, di umiliarlo torna fuori automatico, manca poco che si mettano a ridere ma insomma il messaggio è chiarissimo: noi, bulli? Lui diverso, lui indegno di rispetto. E Andrea se n'è andato, tanto aveva capito che la vita era solo questo e non sarebbe cambiata, per quelli come lui ogni giorno è il Calvario e non diciamo a caso, c'è proprio del Cristo derelitto, sputato, annientato in quelli così, che attraversano gli altri coi loro passi di vetro da scheggiare, da mandare in frantumi ogni momento e infine non osano più, non escono più, qualche mese in compagnia degli incubi e un bel giorno si ammazzano. Uno così, con quella faccia sghemba, con quegli occhi da animale al macello, con quei sogni in punta di piedi, in quegli imbuti di silenzio, niente sabati sera, niente compleanni o Natali, niente estasi o estati, il diverso, il difettoso che non è peccato offendere, anzi vive per quello, uno così non contava un cazzo per nessuno, salvo due persone: quella madre di rassegnazione, che sorride alla morte e non alza la voce, quel padre guareschiano, congestionato di dolore, la camicia a quadrettoni e i baffoni di campagna, quel padre sconvolto che gorgoglia la sua disperazione eppure pensa agli altri come il suo figlio perduto, gli innumerevoli altri imperfetti, che faranno la stessa fine. Troppo semplici, troppo buoni, troppo indifesi: da' un'occhiata in giro, vedrai quanti ne trovi. Tanti almeno quanti i figli di puttana. “Io voglio tornare al lavoro, anche per mio fratello che è disoccupato, ma non ce la faccio, proprio non ce la faccio”. E dopo penzolava nella sua stanza svuotata di speranza. Ma che importa? Questo inutile strazio vola via, come l'inchiesta che la magistratura apre d'ufficio per legittimare l'assoluzione generale, sarà già tanto se non viene qualche laido santo a riscattare le carogne, a spiegarci che sono loro le vere vittime, chissà poi di cosa.
Applausi, gran bel pezzo che eleva il povero ragazzo a essere umano; nonostante i carnefici indegni.
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