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SI PUEDE E COSI' SIA


Sarò io, ma certe parabole del Vangelo non le ho mai capite neanche da bambino quando ce le spiegava don Domenico, il prete del catechismo che passava con disinvoltura dalle parabole a certi altri discorsi che ugualmente non capivo e una volta che uno di noi fece una battuta sulla vaselina don Domenico pareva impazzito e non ci riusciva di calmarlo, e nemmeno quello lo capivo. Già il “non desiderare la donna d'altri” per me è sempre stato al limite dell'impossibile, come fai a non desiderare una che appena la vedi già ti attira, un conto startene buono al tuo posto, ma non desiderarla proprio no. Ma insomma fino a lì ci arrivavo, a fatica ma mi ci orientavo. Le cose si complicavano con i concetti di giustizia, tipo la parabola del vignaiolo della Cgil che paga lo stesso ai fannulloni che gli hanno lavorato un'ora e agli altri disgraziati che hanno sgobbato tutto il giorno. Non mi ha mai convinto la spiegazione, io do quel che mi pare a chi mi pare, tu avevi pattuito un soldo e hai un soldo, vattene e non insistere. Sospetto che per questa strada si scardini l'economia arrivando tra l'altro alla Grexit. Ma papa Francesco sostiene che l'economia è roba criminale, preciso a Saviano, e quindi rassegnamoci. Allora prendiamo la faccenda del figliol prodigo. C'è uno che va via di casa, passa gli anni intento in ogni genere di nefandezze, scopa, ammazza, ruba, insomma se la spassa e solo quando si ritrova a mal partito, non prima, quando capisce che per lui è finita decide che ne ha abbastanza e torna indietro pensando: mio padre non starà mica lì a farmi delle storie. Difatti torna e appena lo vede il padre si rotola, gli apre la porta, gli mette a disposizione i servitori, gli ammazza il vitello grasso e il prodigo, piagnucolando ma sotto sotto ridendosela, pensa: vedi, ho svoltato un'altra volta. Al che l'altro figlio, che ha sempre rigato dritto, che non s'è mai allontanato da casa, che si spacca la schiena, figlio esemplare ma di una noia mortale, s'azzarda a fare il commento più sensato, il più istintivo davanti a una scena simile: ma scusate, perché tutte queste attenzioni per uno che si è pentito solo quando gli è convenuto? Non l'avesse mai fatto! La risposta del padre è un capolavoro: vergognati, è tuo fratello, a te ti ho sopportato ogni giorno, lui invece l'avevo perso e l'ho ritrovato.
Non c'è niente che fili in questo discorso. Non la giustizia, perché il figliol prodigo non sconta un'ora per i suoi crimini, tutto cancellato, amnistiato, condonato dalla felicità paterna; non equità, perché gli stessi peccati evaporano, “ha già pagato con la sofferenza” cioè per essersi rovinato da solo; non l'amore paterno, scaduto a familismo asociale, tantomeno la logica perché il fratello pirla ci passa pure da meschino, da rancoroso e va bene che la morale celeste non è di questa terra ma santo cielo avremo noi bisogno di punti fermi, di coerenza per capire come accidenti muoverci in questa vita su questa terra: se ogni giorno della nostra grama esistenza è regolato da comandamenti di severità asfissiante, non desiderare, non odiare, non vendicarti, ama chi ti rovina, ricordati di questo e di quell'altro, qualcosa vorrà dire; oppure funzionano solo per i coglioni, per quelli che li temono mentre per chi li considera “cose d'aria, cose di vento” come dicono in Sicilia vale solo il perdono acritico, la riabilitazione che nasce dal calcolo? Sempre in Sicilia i mafiosi hanno un detto: “Coi denari e l'amicizia, si va in culo alla giustizia”. Quella umana o anche l'altra, divina? Sarebbe da chiederlo a Fabrizio Corona, ai suoi sostenitori che ci spiegano come e qualmente la galera non la potesse sostenere uno così, uno spirito libero, fatto per la libertà, un loro amico. Ma lasciamo perdere, che già vengono a dirci che avere scontato due o tre anni su tredici è stata una barbarie, una roba da tortura, da stato totalitario. “Fabri” intanto ha emesso il suo primo tweet che fa così: “Ora si riparte, si puede”. Una minaccia, la versione twittarola della parabola evangelica.

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