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PERCHE' INSISTO SU CORONA


Mi hanno fatto sapere, con una certa discrezione, che avrei “rotto il cazzo con la storia di Corona”, che ne ho fatto una mania. Avrò fatto una mania, avrò rotto il cazzo ma il senso civico di chi ride e tira via non lo capisco perché come dice Goethe “Vivere a proprio comodo è plebeo”, concetto ribadito con altra forza dal mafioso Abate: “Ma quale democrazia, quale libertà, libertà è fare il cazzo che uno vuole e avere i soldi per farlo”. Ora, fosse per l'ennesimo balordo con claque vip e mamma plastificata farneticante, si potrebbe lasciar perdere ma il fatto è che quella della democrazia garantista è una partita doppia di dare e avere, per lo Stato che la amministra, per la sua giustizia malata i conti in un modo o nell'altro debbono tornare e tornano come segue: che per un Corona spedito a ricrearsi da un riciclatore di vip criminali, altri cento, altri mille debbono pagare il conto, anche il suo conto e lo pagano in soprusi, in abusi, in follia di una giustizia infetta che si fa dura e inesorabile. Fosse per l'ennesimo farabutto da rotocalco difeso dai nessuno che si fanno la fotina a sua immagine e che i giornalisti amici, un po' ammirati e un po' preoccupati s'incaricano di dipingere nell'epica ribalda di chi è sopravvissuto all'inferno, sarebbe niente ma il fatto è che a sprofondare all'inferno sono quelli senza stampa e senza mamma e anche quelli morti ammazzati volando da un albergo perché i conti dello Stato infetto e della giustizia malata debbono tornare. Condannato per due foto, mentono su Corona i giornalisti vip, ma in quelle due foto ci stanno i ricatti, le estorsioni, i riciclaggi, i rapporti mafiosi, i porti d'arma abusivi, i pestaggi a sbirri e passanti e poi le bancarotte fraudolente, le truffe, le evasioni milionarie, le tentate evasioni, la spendita di denaro falso, le recidive fino, incredibilmente, al traffico di droga appena ammesso per uscire a curarsi dal prete vipparolo. Più una polvere d'altri reati, secondari, accessori, che sommati rendono i 13 anni complessivi perfino clementi. Ma Corona ne sconta due o tre e poi va in villeggiatura da don Mazzi, imprenditore del pietismo sciacallesco che dice: un crimine condannare Fabrizio per due foto. E la gente che paga caro, paga tutto anche per due mele gli crede, gli vuol credere al don vippaiolo come ai giornalisti pelosi che partono da presupposti opposti, “Vedete, Berlusconi la fa franca e Corona no” dice uno, “Vedete, lo stesso accanimento che per Berlusconi” dice l'altro, ma la conclusione è identica, è l'elogio cavilloso, impossibile dell'impunità classista anche nel crimine da quanti ostentano superiorità vip per le minima immoralia. Koiné nella notorietà per questi, koiné nell'emulazione per i nessuno delle fotine e i tatuaggi. E sarà anche vero, anzi è senz'altro vero che “Vivere a proprio comodo è plebeo”, percettibilmente la cittadinanza retrocede a plebe, vive a proprio comodo e sprofonda nella babele sociale e burocratica che obbliga alla corruzione elementare e non ci trova niente di strano se un sindaco vuole assoldare il figliol prodigo Corona come esempio per i giovani; ma la plebe ha le sue responsabilità, non può chiamarsi fuori perché i mezzi per ragionare, per distinguere li ha, non può la plebe appellarsi sempre a una distorsione della coscienza e della conoscenza di cui è parte viva, artefice e complice, deve una buona volta riconoscere che le piace il vivere plebeo ma di lusso di chi “coi soldi e l'amicizia la fa in culo alla giustizia”, quanto a dire il gioco di specchi del moralismo decomposto per cui ci si infuria per tutto ma alla fine ci si riscopre possibilisti, morbidi, perdonisti, si consuma l'informazione ipocrita dei giustizieri chirurgici, ci si consola mentendo “c'è di peggio a questo mondo”. C'è sempre un peggio che rende sopportabile il miserabile e la plebe che si crede rossa e nera, di sinistra o di destra ma si coagula nell'ammirazione laida, nel lieto fine osceno, depone i furori forcaioli, le indignazioni recitate, abbandona una buona volta il moralismo strumentale e sposa la mafiosità smutandata di uno che, appena mandato libero da una giudice creativa, subito ricomincia a fare la sua vita losca al grido “si puede” con la paterna benedizione di un prete. Come a dire: in mezzo a questo merdaio io la faccio franca anche per voi, anche se il conto lo pagate voi.

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