Il critico Aldo Grasso fa il suo mestiere, critica un programma televisivo e a sentire alcune attempate intellettuali dei nostri tempi, che nei programmi attempati portano se stesse come bandiere, si pone una domanda: ma come mai queste amiche del popolo non sposano mai uno del popolo? E passi per la risposta delle interessate, che è roba da scuola media, “allora se sorreggo i diritti dei gay debbo sposare un gay?”. Ma che a dar man forte arrivi il giustiziere Travaglio, con la sua prosa azzimata che sembra l'onorevole dalla “u” stretta di Raimondo Vianello, la dice lunga anche perché la diuretica sinfonia non si discosta da quella delle attempate: il solito elenco ludico di figure, di cose che sarebbe lecito sponsorizzare pur senza esperienza diretta. Un po' come Travaglio che vuol (quasi) tutti in galera senza esserci mai finito. Ora Grasso sa difendersi da solo, se crede, ma il problema ci pare diverso, ci pare squisitamente democratico: certi bulletti fidano nell'occhio di riguardo della maestra, l'abbiamo capito e abbiamo anche capito di averli tollerati troppo a lungo; ma solo il suo circolo celentanesco di blogghettari e cronistini vanitosi avrebbe licenza di forca su tutto, ovvero un critico può, deve criticare in modo chirurgico chiedendo permesso a Travaglio? Perché a dirla tutta, la difesa d'ufficio delle tricoteuses alla Rousseau, che piangono per il popolo ma senza mischiarsene, sa di protezione per non dire di avvertimento, stavolta te la cavi ma attento che volendo ti scateniamo addosso la contraerea, i dossier con lo stato civile e la cartella sanitaria, la frase di quarant'anni fa, la gogna virtuosa. Secondo costume dei populisti diversamente democratici.
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