C'è un gatto sotto casa mia. Un gatto bianco e grigio che sembra una lince. Lo ricordo da almeno quattro anni, e infatti la veterinaria mi ha confermato che suppergiù quella è l'età, lo ricordo nel buio d'estate, su un muretto, un cornicione, che ascoltava la notte. Si vede che poi gli è successo qualcosa perché d'improvviso me lo ritrovo sotto casa ridotto un ecce gatto, pieno di ferite, di segni dappertutto. All'inizio soffiava, ma stava lì. Aspettava qualcosa. Abbiamo cominciato a dargli da mangiare e lui, il gatto coraggioso e sfortunato, tutte le volte una sfiga: oggi arriva il nubifragio e lo diamo per disperso, ma lui invece ritorna, più conciato di prima, domani il solleone precoce, e poi altre piogge e allora lui si stabilisce davanti al portone a vetri, perché nel giardino di terra, sotto la pianta, non ci può più stare. Ma ecco, una mattina arrivano gli operai e demoliscono tutto e lui non sa dove andare. Eppure spunta, ogni volta che ci sente, perché reclama disperato la sua razione. Da tre mesi va avanti questa storia e lui non soffia più, adesso quando mi vede mi porge la testolina, si lascia accarezzare, socchiude gli occhi; smette perfino di mangiare, prima vuole una attenzione, la testimonianza di non essere derelitto al mondo. Ma è difficile sorprenderlo, è un selvatico, appena sbaglio mossa scappa e ricomincia a soffiare. Alla fine ce l'ho fatta a ingabbiarlo: le lotte con gli altri gatti lo hanno massacrato, è tutto mangiato e ha uno squarcio al collo che suppura. L'ho rinchiuso nel trasportino e non ho mai sentito un odore simile, l'odore della decomposizione, della morte. Non è capace di difendersi, coraggioso ma mite, e gli altri lo attaccano, lo scacciano. Deve soffrire il calvario, con la ghiaia e gli sterpi che gli si conficcano nella carne scoperta, nelle ferite che non riesci a contargli. Eppure lungo la strada per le mie amiche veterinarie mai si è lamentato. L'abbiamo fatto curare, sterilizzato, rimesso in libertà: lui ha guardato per un attimo incredulo, poi è fuggito. Ma tanto ormai l'ho capito: difatti, la sera eccolo qui al suo posto, davanti al cancelletto di ferro, che ci aspetta. Una soffiatina di circostanza poi subito la complicità della testolina: era affamato, ma prima ha voluto la sua carezza. Io questo gatto me lo prendo, i soldi li troverò, gli altri tre dovranno accettarlo. Ma se non ha malattie infettive, lo prendo. Questo gatto è il mio coraggio e la mia sconfitta, il mio amore e la solitudine e la speranza incredibile, umile e rassegnata. Io non lo abbandono questo gatto. Earth Hotel di Paolo Benvegnù è il disco che più sto ascoltando, riascoltando, consumando negli ultimi due mesi. All'inizio mi era parso bello, si capisce, ma non così immediato, fin troppo complesso, stratificato. Ma ora ci sono caduto dentro e lo scopro opera di eleganza sopraffina, clamorosa. Canzoni memorabili contiene, atmosfere cangianti, ora torride, ora raggelanti, suggestioni artistiche a raggiera. Dentro c'è Goethe, c'è il Werther: “Cosa è la vita, se non amare...”. Tutta quella intensità, tutta quella poesia. Tutta la musica. Vorrei dire che ascoltando in particolare “Orlando” io rivedo il gatto che mi aspetta, il suo coraggio, la sua attesa nel dolore silente, la gioia scoperta ed egoista appena mi vede, l'odore di morte e di vita che si porta addosso, tutto quello che non potrà mai dirmi ma non c'è bisogno perché io lo conosco già.
Ti leggo(commentando quasi mai) ad intermittenza da qualche anno, ed ero rimasto al secondo gatto.. vedo che nel frattempo la famiglia felina è cresciuta e continua a crescere, stai diventando un vero gattaro. Se potessi anche io prenderei un terzo o quarto gatto, ma purtroppo abito in un appartamento troppo striminzito, 2 sono già abbastanza!
RispondiEliminaBeato te!