Ad ogni partenza, qualcosa succede. Sempre. Ogni imbarco è un destino, qualcosa accadrà. L'ultima volta, non più tardi di venerdì, sono rimasto colpito dalla inesorabile casualità dei posti prenotati: manco una fanciulla gradevole, io non sono di quelli che attaccano bottone sperando in un boccone, poi non mi nascondo l'età che mi rende più simile a uno zio, è solo la possibilità di una piacevolezza, scambiar due parole, incuriosirsi fino alla discesa, la mia, la tua. Invece solo avanguardie novecentesche, la più interessante era la morte con uno scialle di lana, due occhi cattivi e la piega della bocca di chi si lamenta per missione. Ce l'avevo di fronte, un personaggio di Simenon, mi guardava che la guardavo, affascinato, e dubitava. Ad ogni partenza qualcosa si incontra, si conserva, si butta via. I lunghi minuti da riempire nelle stazioni che conosci a memoria ma ti trattano da estraneo, da numero, nessuna intimità. Ricordo gli edicolanti di mezza Italia io, sempre quelli, ogni viaggio più vecchi, loro che non si spostano, figuriamoci io. Loro non mi ricordano. Nessuno mi ricorda in una stazione. Tranne forse la cappellina di Ancona, dove corro ogni volta che scendo: tanto la coincidenza è regolarmente in ritardo. Venerdì c'era don Bosco sul muro, ho sbattuto contro un arredo, ho trattenuto una Madonna, mi è parso che sorridesse. Incontri, sorrisi di circostanza oppure veri, e sentirsi cambiato, meno incline allo scherzo, alla complicità, ma poi quelli che son venuti per te, e ne hanno fatta di strada, non puoi liquidarli con un grugno e allora torni indietro a chi non sei già più e ti senti troppo vecchio per questo gioco, ma non sai come uscirne. L'ho già detto, quello che mi piace dei miei appuntamenti è che non sono mai frigidi, sono pezzi di vita nati dalla vita che alla vita ritornano. Sono bravo in questo, trasformare un cerimoniale in complicità, e a un certo momento, non saprai mai come, l'occasione è un pretesto: c'è una maestra che ritrova il suo alunno, ci sono amici miei che diventano amici, ci sono distanze azzerate. E a stappare la bottiglia magari è il critico che castiga tutti, l'avresti detto lettore, mentre ti riempie il calice? Chi altri conosci, che ti sappia compromettere così? E il merito è anche tuo, amico lettore, ma trovami una scimmietta ammaestrata da palinsesto che lontanamente si avvicini al più remoto sospetto del rapporto che io ho con te.
Parole, formule, atteggiamenti e la cosa che deve succedere, succede, un piccolo spettacolo ogni volta, succede da solo, senza cercarlo e dura quello che dura, in un attimo è andato e dopo c'è la cena, c'è l'albergo con una stanza piena di solitudine, i primi tempi mi elettrizzavano le stanze, l'idea di starci dentro da solo, quella specie di riservatezza staccata dalla vita, quel sentirmi padrone di fare il comodo mio, che poi non è diverso da casa, anzi è molto meno confortevole, salvo scoprire che tanto non fai niente di che, ti stendi sul letto, leggiucchi qualcosa e poi spegni e non dormi. Si dorme per dire in albergo, c'è sempre qualcosa che non torna e dopo ti alzi presto e corri verso il treno e ti stupisci che sia già tutto passato, la testa piena di sorrisi, parole, incontri, strette di mano, saluti e qualcosa di più e qualcosa di meno addosso. E un altro ritorno, e ore ritardate d'attesa sulle banchine, e sentirsi più solo di ieri e scendere stranito ritrovare gli angoli dove ti annoi ogni giorno metterci un attimo a ricascarci dentro e una stanchezza impercettibile, da reduce di pace che si racconta com'è andata.
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