Loris era un bambino nato per niente. Figlio di una madre bambina, pazza, che non lo amava, figlio di un padre lontano, che su di lui scaricava sospetti e certezze e frustrazioni. Loris che parlava poco, che non si fidava, lo sapeva lui perché, e aveva chiesto di fare le arti marziali, forse per l'illusione del coraggio e della forza, forse per stare in compagnia in un posto sicuro, dove fingevano soltanto di aggredirlo. E ha passato otto anni senza luce e poi il destino lo ha inghiottito come una voragine piena di denti e lo ha masticato senza pietà. Come nel peggiore degli incubi. Come nel peggiore dei film. E io, che specchio me in quel bambino esitante e forse la mia compiaciuta disperazione, sono qui che mi chiedo a cosa serve nascere, resistere, esistere così. Io non capisco più nessun senso, ma un uomo vestito di bianco o di nero non può venirmi a parlare di premi, di angeli, di pace divina. A cosa ha portato la vita di Loris, quel fiume di dolore che scorreva sempre, quieto e implacabile e adesso evapora nel cielo e lascia polvere di ricordo? A cosa è servito ogni orrendo minuto di speranza se il coraggio si ferma in un canneto pieno di denti? L'uomo è cattivo, la sua pazzia è cattiva, divora umanità e eternità, cattiva è la gente che piange, cattiva è la vita che ti fa chiedere che senso hanno i miliardi di Loris della terra e del tempo e nessun folle vestito da gelataio o da becchino può convincermi che c'è un senso in quell'atroce sperare.
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