Poco da
dire: il Brasile, quando gioca appena in undici, si conferma squadra
da serie cadetta. In compenso, che Messico all'italiana: e che
portiere, soprattutto. Ecco di cosa è fatto, dovrebbe essere fatto
il calcio: di parate, di giocate strepitose, altro che quei titic e
titoc demenziali o l'alienazione tecnica degli allenatori. Ricordo il
Mondiale del 1994, Sacchi con negli occhi la follia da bunker che
accoppava i giocatori con allenamenti impossibili e poi li mandava in
campo in gabbie tattiche allucinanti: riuscivano a giocare davvero
solo quando lo mandavano a quel paese, palla avanti e Dio ci aiuti.
Arrivammo secondi, ma quello non era calcio, così come non lo era
quello del Milan, una squadra fatta di venti fuoriclasse che bastava
scendessero in campo per atterrire qualsiasi avversario. Fu Sacchi a
distruggere Van Basten, e fu Sacchi a perdere un Mondiale. Gli
allenatori si sono montati la testa, si sentono tutti Nelson a
Trafalgar, prima facevano le strategie con gli schemi, adesso usano
gli algoritmi: ma lasciateli correre, che hanno vent'anni! Guarda un
po' questo Brasile, castrato, rinnegato: a forza di spedirli tutti in
Europa, non si ricordano più come si solfeggia carezzando la palla,
se ai verdeoro gli riesce una finezza sembrano quasi vergognarsene. E
le partite sono mediamente inguardabili, si accendono solo a sprazzi,
per caso, durano davvero un quarto d'ora, tutto il resto è noia. Al
diavolo questo sport fatto di allenatori megalomani, di sponsor
onnipotenti, di materiali ultrascientifici. E di doping, che non
manca mai.
Infatti la partita più bella di Usa 1994 fu Italia-Norvegia, giocata in 10, schemi saltati e gran correre. A questi stregoni delle panchine andrebbe fatto leggere La leggenda del paron per capire come si crea una squadra
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"Vinca il migliore". "Ciò, speremo de no".
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