E questo bisogno,
nonostante tutto, di far andare il cuore, e le parole, e le dita che
le disegnano sulla tastiera. Una ginnastica dell'anima. Anche se non
ho niente da dire, e se non voglio dire niente. Questo bisogno mi ha
salvato quando volevo uccidermi. Mi salva sempre quando voglio
sparirmi. Scrivevo per me, allora non sospettavo sarebbe arrivato un
incantesimo per “condividermi” col mondo o con un solo lettore.
Ancora scrivo per me, malgrado queste farfalle malate che sono i miei
pensieri voleranno chissà fin dove. Io pensavo che questo bisogno
durasse un giorno, un anno, il tempo di maturare, invece resta,
invece cresce in me; è diventato malattia e questo male contiene in
sé la cura, che pure mi avvelena. Quante volte ho maledetto il
momento in cui sono cascato in questa trappola: mi succede sempre più
spesso, e più mi dispero all'idea e più non posso uscirne, non ci
provo, non voglio. È quello che ho sempre fatto, è un istinto
ormai, chissà se significa essere scrittore o soltanto grafomane, o,
peggio, illuso. Questo bisogno, nonostante tutto, insiste. Consuma.
Mi costringe ad ascoltarlo. È una parentesi nell'inferno della vita,
è dolore che cerca la sua gioia e meno la trova e più si agita. Di
sofferenza si alimenta, e non tollera interferenze. Aveva ragione il
mio grande amico, il poeta Bazzani, a dirmi che ero sempre lì che
bruciavo. Adesso non ho altro che questo tenermi compagnia, l'unica
cosa che mi resta è la mia dannazione e quando scopro che la mia
solitudine colma per un attimo quella altrui, io ne resto sconvolto;
non è così che doveva andare, non per me che scrivo, non per te che
leggi. Questa droga sembra innocua, ed è la più cattiva, la più
sottile, quella che proprio sconfiggere non si può. Scava
alienazione, manda al manicomio, devasta anche le fibre. Era così
vent'anni fa, quando avevo finito il tempo e per colmarlo scrivevo in
un sottotetto stretto come un pigiama di cemento, dove le farfalle
volavano via subito per il lucernario. Ed è così oggi, che mi sento arrivato in fondo al pozzo, guardo
fuori e vedo una valle che chiama ma non la sento più, ascolto il
rumore della sera che scende e non la sento più. E mi chiedo cosa
sarà di me se sono giunto a odiare l'atto stesso di scrivere,
queste farfalle malate mentre prendono forma, mettono le ali, si
preparano a fuggire. Questo bisogno mi ha condannato quando volevo
vivere.
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