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CONFESSIONI DI UN CATTIVO (quella volta con gli scout)


Com'è arcinoto, il mondo è pieno di lunatici e l'Italia tanto per cambiare eccelle, vi trovano posto centocinquantamila “maghi” che vivono felici (anche perchè imbrogliano in nero) e un numero imprecisato di squilibrati che si fanno allegramente truffare. Li riconosci subito: occhio fisso, nessuna prudenza, nessun senso dell'umorismo, traballante considerazione di se stessi, aggressività represso-repressiva, attitudine onirica, abitudine a pensare e agire in gregge. Ciò che in ogni società è fisiologico, cioè una quota di spostati, da noi assume volentieri i contorni di un movimento, un collettivo, un partito, vedi i grillini. Tra scout, papaboys, animalisti, ambientalisti, stradaioli, saviani rinati, neocomunisti, neofascisti, berlusconiani del settimo giorno, noglobal, fannulloni, antinuclearisti, popoli viola, giallo, arcobaleno, delle carriole, grillini, sorcini, “cristini”, che sarebbero i fans di suor Cristina, ci sarebbe da abolire la Basaglia che ha abolito i manicomi, anche se a quel punto resteremmo in pochissimi: vogliono perfino ripescare Wanna Marchi. Di solito questa gente si proclama di mente aperta, libera da pregiudizi, ma la realtà è che sono più che altro dei dementi che solo sulla scia chimica dei pregiudizi impostano la propria vita, che è una vita buttata. Il loro pensiero non è razionale ma associativo, non analitico ma affettivo, suggestivo piuttosto che logico: si preoccupano di ricondurre una contingenza a schemi ideologici e, se la realtà non torna, loro forzano l'ideologia fino a conseguenze irreversibili, a costo di raggiungere i risultati opposti a quelli inseguiti. Vedi il caso dei pacifisti integrali che ucciderebbero per scongiurare la guerra, dei movimenti per la vita che fanno fuori i chirurghi abortisti o dei libertari atei che difendono l'esotismo del burqa integrale (“chi siamo noi per giudicare altre credenze?”). Sono quelli che vedono ecatombi dappertutto, tranne quelle che esistono veramente. Gli ossessi della legalità che all'occorrenza rubano. In definitiva quelli che si disinformano sempre sulle stesse allucinazioni a presa rapida, perché approfondire, studiare i testi seri, è faticoso e difficile. E rischia di frantumare le illusioni. Ieri è uscita l'ennesima conferma: un caposcout ultrasessantenne rovinava ragazzini sui 12 anni. Mi scappò una grana, anni fa, prima divertita, poi più seria: scrissi un pezzo sarcastico su questa setta, dopo il quale mi piovvero addosso anatemi e minacce a grandine; mi sfidarono a “trovare le prove” di ciò che sostenevo per ironia. Le trovai, pubblicando una seconda parte straripante di casi acclarati di molestie su ragazzini in divisa da lupetto o coccinella. A quel punto, sparirono tutti. Uno solo ebbe ancora la voglia di replicare: “Però tu sei cattivo”. Può darsi, pensai, ma almeno non violento i mocciosi. “Cattivo” era un epiteto all'apparenza assurdo, in realtà sorretto da una illogicità ferrea: sei crudele perché interrompi le mie fantasie, io voglio continuare a credere al mondo felice degli scout.
A differenza di tanti gossippari, ho sempre pensato che il mio ruolo, finché faccio il cronista, sia proprio questo: vedere quello che c'è (non quello che non c'è, oppure non vedere quello che c'è e vedere quello che non c'è). Pazienza se mi costa l'alto gradimento su Facebook (quando invece racconto di mari di dentro, di angosce personali, è un altro discorso).
Denunciare le sette, poi, combatterle, di ogni tipo fossero, l'ho sempre considerato, nel mio piccolo, ineludibile. Perché le sette sono mostruose organizzazioni a delinquere, armi di distruzione di massa di cervelli, plagiature seriali di menti. E io questo non posso proprio accettarlo, non sopporto i mangiatori di libertà. 
Quello che i lettori, i quali ricordano benissimo quella polemica, ignorano, invece, è che quell'inchiestina per poco non mi costava il posto, si fa per dire, al Mucchio. La fattorina, poi responsabile del putsch (non è un insulto) che la trasformò in direttora, editora, percettrice di fondi per l'editoria, (gia') habitué di Sharm el Sheick, mentore di fidanzate promosse caporedattrici, paladina di campagne per spremere gli aficionados, prima di emergere finalmente per quella che era, spingeva per farmi fuori: ero colpevole dell'imperdonabile peccato di avere fatto giornalismo, di avere sviluppato una indagine che, oltretutto, avevo vinto per definitivo abbandono del campo da parte dei contestatori. Il Mucchio non aveva bisogno di tutto quel cancan, arrivavano le sovvenzioni automatiche (da spartirsi in due), perché complicarsi la vita? A un certo punto la faccenda si era messa male, parevo davvero “nominato”, la futura direttora era implacabile. Invece la spuntai, ma solo per un paio di motivi algebrici: sapevo fare il mio mestiere (tanti argomenti spinosi, mai l'ombra di una querela), e producevo a chilometro zero: costavo meno io in un anno, che i loro aperitivi in una settimana. Conveniva sfruttarmi ancora un po'. Ma questa è un'altra storia, ormai sviscerata ad nauseam.

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