Stavo
per scrivere un pezzo sui femminicidi che crescono sempre, che travolgono anche la festa delle donne, poi mi sono fermato. Tre
uccise in un giorno, ma poi anche le due che a Cesano Maderno
finiscono a martellate il marito e padre, e la albanese che per
un'assurda rappresaglia fa fuori tutte e tre le figlie, avute da uno
che lei stessa ha lasciato e che ha avuto il torto di rifarsi una
vita. Non chiamateli depressi: non lo sono. Non credete loro quando
dicono: non so cosa facevo: lo sapevano benissimo, uccidere qualcuno
non è così facile. Eppure, allo stesso tempo non è mai stato tanto
semplice. Tutti uccidono tutti, tutti distruggono tutto. La logica è
quella della cancellazione, se finisce una storia, se tu non stai al
mio gioco, alle mie pretese, io non solo rimuovo te ma per sovrappiù
elimino tutti i figli del tuo grembo, del nostro amore. Sono
infanticidi perpetrati da mani infantili, gente senza capacità di un
pensiero logico, razionale, responsabile. Per un branco che si
accanisce su una compagna nel cesso della scuola (e poi, dalle solite
comunità protette dove li spediscono in gita premio, spediscono
messaggini minatori alla vittima), un'altra ragazzina sfascia a calci
una “rivale”, nel tifo di tutta la scuola. Difficile perfino
distinguere tra vittime e colpevoli: un esaltato a Milano abbatte a
bottigliate di plastica un tassista, ma il tassista, dopo avere
rischiato di investire lui e la moglie incinta, era sceso
minacciando, urlando. Chi vive in una metropoli conosce bene quel
senso di jungla, quel non sentirsi mai al sicuro in nessun posto, in
nessun contesto, sa che perfino un gruppo di ragazzini può rivelarsi
una minaccia terribile. A Milano, in via Padova e dintorni, le gang
di latinos si sfidano a colpi di machete con gli africani per il
controllo del territorio, i sudamericani sono torvi, gli islamici
guatano con odio le donne, gli indigeni sono insofferenti e
s'inferociscono. Roma è tutta un campo di battaglia, come per una atroce risacca periferica. Ma nella lunga provincia italiana degli ottomila
campanili non è molto diverso, allignano le faide, le vendette
paesane in una presocialità di ritorno, in un Medioevo che forse
non è mai davvero passato. Le donne continuano a cadere (mentre in
Parlamento ci si trastulla con le quote rosa e i vestiti griffati
bianchi), ma sempre più sono quelle che infieriscono sui figli, gli omosessuali non sono meno vittime e ieri Giampaolo
Pansa ha scritto: se domani vedremo gruppi di gay reagire,
passando alla caccia all'etero, nessuno potrà né stupirsi né
biasimarli. Ha ancora senso parlare di società, di contesto
organizzato quando tutti sembrano impegnati a sterminarsi a vicenda?
La cosa più terribile è la definitiva rinuncia alla tenerezza, alla
poesia di una fragilità. Tutti si pentono nel momento preciso in cui
sterminano, ma sono pentimenti per dire, liturgie ad uso televisivo,
la violenza si esalta, si sbriciola, si diffonde, si respira in parte
perché non sappiamo più convivere, in parte perché sempre più
gente è strafatta di ogni eccitante possibile, in parte perché sa
di non rischiare granché. Nessuno - tantomeno le vittime, troppo spesso annunciate - pensa alle conseguenze di quello
che fa, in una sorta di regressione mentale, come quelli la cui
corteccia cerebrale non si sviluppata del tutto o si è atrofizzata.
Scrivo un pezzo su un Masaniello che le ha sbagliate tutte e adesso
si trova all'ultima spiaggia di una candidatura. Quello mi apostrofa
su facebook per rivendicare i suoi precedenti penali e insieme mi
insulta, mi sfida a duello. Non gli passa per la testa che non è la
mossa più furba se si candida, se aspira a un posto di
responsabilità ma a lui non interessa, deve uscire dal cono d'ombra,
rifarsi una verginità rivoluzionaria ampiamente messa in
discussione. Dal suo punto di vista ha ragione, nell'Italia del 2014
nessuno si stupisce se un aspirante deputato minaccia pubblicamente
un giornalista, anzi è proprio in ragione del suo discutibile
curriculum a base di soprusi, di trascorsi violenti che un Masaniello
greco vuole spedirlo in Europa.
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