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UN FUMETTONE SU SENZANI

Il regista Delbono, che ha fatto un libro apologetico sul capo terrorista Giovanni Senzani, alle prevedibili polemiche reagisce in modo peloso come tutti quelli che cercano lo scooppetto revisionista, operazione fuori tempo massimo perché certe patetiche suggestioni di piombo trent'anni dopo aspettano solo di essere sbugiardate. “Non sto con Senzani voglio solo guardare il mostro e chi mi attacca non ha visto il film”. Come a dire: staccate il biglietto, tutto il resto non mi riguarda. Noi non siamo mai stati ad Auschwitz ma un'idea del lager e dell'ignominia nazista ce l'eravamo fatta, anche prima di vedere il film di Spielger e per capire chi era Senzani abbiamo privilegiato altre fonti che il filmetto di questo Delbono, uno che tira il sasso e nasconde la mano, di quelli già pilateschi in gioventù, come chi stava “né con lo Stato né con le BR” per dire senza dirlo che dovendo scegliere preferivano uno come Senzani nel quale riponevano le residue illusioni di una purezza della lotta armata. Delbono o non sa o finge di non sapere, comunque mistifica aiutando i reduci brigatisti a mistificare su dinamiche e perversioni di quegli anni perversi, è stato obiettato, "nel silenzio, compiaciuto o interessato, di tutti quei predicatori, salottieri e progressisti, che firmano appelli e documenti a giorni alterni a difesa della democrazia e della legalità ma poi tacciono di fronte al protagonismo di persone che sono stati autori di efferati delitti”. Quanto a dire che, per eterogenesi dei fini, a qualcosa la tetra apologia fumettara di Delbono è servita: a disvelare ancora una volta la coda di paglia di tanti frustrati o eterni cazzari rimasti all'infatuazione per il peggio della nostra storia recente.

Il “mostro” Giovanni Senzani, criminologo con ruolo di informatore, è quello che da Moretti eredita la gestione delle ultime BR portandole di fatto alla sommersione sino alla fine degli anni Ottanta. Senzani figura tra le menti “superiori” in grado di rapportarsi (dialettizzarsi, in gergo brigatista) con uno statista come Moro; le indagini contemplano la possibilità che fosse lui a detenere nella sua abitazione le riprese filmate degli interrogatori di Moro. Passerà i primi anni della sua detenzione nel carcere ascolano di Marino del Tronto, a 50 km da Fermo, dove è certamente in grado di sfruttare contatti, appoggi sia istituzionali, sia eversivi, sia legati alla camorra di Cutolo, anche lui detenuto a Marino e con un ruolo attivo nel rilascio dell'assessore campano Cirillo, sequestrato dai brigatisti. La figura di Senzani è particolarissima: cattedratico tra Siena e Firenze, borsista del CNR all'università di Berkeley, California, quindi a Londra, esperto di carceri e consulente del Sismi, per la precisione di frange “deviate”, considerate legate alla P2. Per combinazione, autore di un libro pubblicato dalla Jaca book, casa legata a Comunione e Liberazione, col cui fondatore don Giussani, come si ricorderà, lo stesso Mario Moretti diede il suo migliore esame universitario, fra i pochi di una carriera abbandonata sul nascere.


Un pentito, l'ex BR Roberto Buzzati, riferisce (corroborato da un altro testimone in sede processuale, Arrigo Molinari, scomparso in circostanze dubbie), a varie autorità giudiziarie di un probabile incontro fra Senzani e il generale Santini, legato al capo del Sismi, Pietro Musumeci, avvenuto alla stazione ferroviaria di Ancona. Senzani, inoltre, è, come noto e come rimarcato dal cartone animato di Delbono, colui che filmò l'esecuzione del pentito brigatista Peci, di San Benedetto del Tronto; documento sul quale il presidente del processo per l'uccisione di Peci, il magistrato Giovanni Rebori (scomparso nel 2009), nel corso di una pubblica presentazione nel settembre 2007 racconta di “Un giallo nel giallo, perché [il filmato] io lo cercai e a un certo punto non si trovava più: in Tribunale a Macerata nessuno sapeva più dove fosse finito”. Quindi Rebori aggiunge: “Di questa cosa non si ricorda più nessuno”. Poi, ricordando gli estremi del filmato: “Era una cosa cupa, scura, che dava una sensazione di fortissima oppressione, al punto che lo stesso filmato in sé, le riprese dico, risultavano fosche, davvero plumbee, allucinate, oniriche. Non sembrava neanche reale. Erano riprese fatte male, brusche, eppure, o anche per questo, oltremodo angoscianti”. Rebori ricorda la forte personalità di Senzani, il suo contegno alle udienze, sorta di “terrorismo interno al processo, col suo affacciarsi dal gabbiotto, far segnare i numeri di targa delle auto dei giurati, prendere note continuamente”. Inoltre, il magistrato, che ha chiuso la carriera nel 2008 come presidente del Tribunale a Macerata, aggiunge di avere avuto l'impressione che il Molinari in effetti fosse solo un elemento di disturbo, inserito nel processo Peci al fine di sabotarlo. Rebori, che il mostro l'ha visto da più vicino di Delbono e proprio quando era più mostruoso, aggiunge altri particolari: “C'era un gruppo di abruzzesi, piuttosto velleitari, che volevano affiliarsi alle BR, gente in contatti coi marchigiani coinvolti a vario titolo nella vicenda Peci. Ma la gran parte del processo fu perduta intorno a un personaggio, un insegnante di ginnastica di Falconara, il quale stava in una posizione ambigua, quella del basista, secondo l'ipotesi accusatoria, quello che sorvegliava i movimenti di Peci in funzione del sequestro. Fu chiamato in causa dal pentito Buzzati, ed era difeso dall'avvocato Pecorella. Si rese necessario cercare i necessari riscontri, che in effetti vennero fuori copiosi: tanto per cominciare, le contravvenzioni prese dalla sua moto a San Benedetto, dove non risultava mai essere stato prima, vicinissimo all'abitazione del Peci. Tra l'altro, questo ex insegnante, una volta arrestato, fu portato nel carcere di Terni dove partecipò alla famosa sommossa come militante brigatista del fronte carceri”. Il giudice precisa che “Le prove contro Senzani e i suoi diretti collaboratori erano schiaccianti”, e che “Le Marche furono un po' la culla delle BR: oltre a Moretti e Peci e ad altri elementi minori, solo nella nostra provincia [Macerata], c'erano almeno altri due nuclei, uno a Falconara [in realtà in provincia di Ancona] e l'altro a Tolentino. Le indagini poi non hanno portato a risultati eclatanti, ma quelle persone, quelle sottocolonne c'erano e testimoniavano di un consenso certamente minoritario, ma da non sottovalutare, anche qui nelle Marche”.

Senzani era una di quelle menti contorte che sfogavano le loro morbosità deliranti mandando al macello i sottoposti, incaricato di liquidare, trascinandole nel vortice della violenza più assurda, delle Brigate Rosse già cotte, già allo sbando dopo l'operazione Moro e la risposta fulminea del nucleo scelto di Dalla Chiesa. Poi lui, il professore, pur finendo in galera si salvò a differenza di molti fantaccini della truppa buona a nutrire i suoi giochi perversi e al fondo incomprensibili. Noi non abbiamo visto, non vedremo il capolavoro di Delbono, ma siamo pronti a scommettere che nulla di tutto questo vi avrà trovato posto. 

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