A
volte resto incantato dall'angoscia, di notte, mentre non dormo.
Sento il tempo che scorre nelle ore buie, sento come tutto è fragile
adesso e privo di senso. Penso che non può esistere un Dio, perché
il nostro destino di saperci mortali è troppo atroce, è di una
orribilità perfino pazzesca, e priva di senso la prospettiva stessa
di un Dio benevolo. Le religioni sono nat
e per
questo, per il nostro terrore: e poi sono cresciute sull'ambizione,
sulla smania del potere, ma sono sempre conseguenze di questo saperci
a scadenza, di questo sentirci irreversibili. Passiamo l'intera
esistenza ad ignorare una minaccia che è una certezza, e che non
serve ignorare, che quando vuole, ci trova. Passiamo ogni nostro
giorno, ogni nostro respiro a fingere di essere vivi. Ma la scadenza
della nostra ombra non ci lascia, mai, mai, neppure quando la vita
nasce da noi, neppure quando amiamo, ci esaltiamo, ci sentiamo vivi e
immortali. Tutto di noi si corrode continuamente, respiro dopo
respiro, respiro nel respiro e questo è ingiusto, questo conoscere
come va a finire è vertiginosamente ingrato. Ed è atroce non
poterlo neppure sperimentare, dopo l'ultimo respiro non c'è il
vuoto, il buio, non c'è neppure il nulla, c'è la negazione di ogni
nostro conato, che neppure constateremo. Ci dissolviamo e non siamo
mai stati, semplicemente; quello che lasciamo al mondo, non fa più
parte di noi, è l'eco di una sparizione, di una inesistenza. E tutto
il mondo non è mai stato altro né può essere altro, ed ogni forma
di vita che lo popola e lo rigenera, passandosi il testimone
dell'entropia, è così, anche se noi siamo i soli a saperlo, ed ogni
grandezza e slancio, ogni crimine e tenerezza, ogni crudeltà e ogni
lacrima sono vane, non hanno altro senso che il loro esistere in quel
momento, per venire travolte immediatamente dopo. Solo il dolore non
ci lascia, finché siamo: e poi diventa inutile anche lui. Perfino
lui. È talmente spaventosa, talmente folle la nostra condizione, che
mancano le parole per comprenderla, per conchiuderla. Pensare solo a
quale gigantesca immensità d'ingegno noi bruciamo, in pensieri,
invenzioni, creazioni, capolavori o soltanto momenti di genialità
spicciola, che nessuna Storia registrerà. Il mondo è un colossale
albero di Natale di lucette che si fulminano, possiamo svanire in un
attimo o dopo anni di lotta, possiamo andarcene sentendolo o senza
avere il tempo di capirlo: e non so cosa sia peggio. Io guardo gli
umani, piante coscienti, e mi fanno tutti pena e mi stringono il
cuore, perché siamo pessimi noi umani, capaci di qualsiasi
ignobiltà, ma anche se ci odiamo a morte, siamo fratelli nel dolore:
la nostra condizione è una pena indicibile, una lunga maledizione
che non ha senso, come non ce l'ha questo annaspare in attesa, come
non ce l'ha qualsiasi cosa noi osiamo, come non ce l'ha il nostro
stesso esistere. Molti non fanno che soffrire l'intera vita, per poi
non essere mai stati; altri hanno una vita piena, meravigliosa,
incredibile e si dolgono di doverla lasciare. Chissà cosa è meglio,
se lasciare questo lungo attimo desolatamente vuoto o strabordante di
ricordi, di esperienze. Le nostre ambizioni, e noi siamo fatti di
ambizioni, senza le quali il futuro giunge al capolinea, diventano
spietatamente comiche al pensiero del loro deperimento. Noi diamo
tempo al tempo, prendiamo tempo, perdiamo tempo, ma ogni scelta è
apparente, è il tempo che prende noi, ci sovrasta, ci corrode e
tutto il bene e tutto il male, tutto l'amore e il dolore vengono
risucchiati infine in una risacca del nulla. Tutto questo colmo di
vita torna indietro in un contrario inconcepibile al punto che
abbiamo inventato un'idea, quella di Dio, impercettibile di per sé,
pur di poter placare il nostro terrore con una illusione che sappiamo
essere tale. Ma chi è che crede alla beatitudine nata dalla morte,
dal contrario dell'esistenza, spesa o a scopare vergini o a cantare
una Gloria fine a se stessa o a mulinare senza tempo e senza spazio
come quel grumo di atomi che non siamo più?
la religione è la risposta dell'uomo al mistero più grande della vita, la morte, mistero che è anche l'unica e difinitiva via per sfuggire al dolore della vita stessa e per darle un senso, di cui, diversamente, ne sarebbe del tutto priva...l'intelligenza di cui è dotata la specie umana è la fonte del dolore e dei mali, delle domande e delle risposte, della ricerca continua di senso, senso che in realtà non esiste di fronte alla caducità di ogni opera al cospetto della incommensurabilità della natura e dell'universo
RispondiEliminaDavide
"La religione ha appena ucciso un'altra persona" (Dr. House).
RispondiEliminaLa fede è una disposizione psichica, figlia dell'educazione inculcataci. La religione una costruzione del potere.
la religione è solo un rifugio che rischia di trasformarsi in una prigione
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