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FONTANE DI DOLORE


Un lettore, uno che non ho mai conosciuto, che non mi conoscerà mai, mi ha scritto raccontandomi la morte di sua madre. Inaspettata, prematura morte. Scioccante amputazione del cordone ombelicale che non si vede ma resta: la fontana di stupore ferito che dentro gli zampillava, non riusciva ad affidarla alle presenze della sua vita quanto ad una assenza come me. Un lettore mi ha scritto ed io sono crollato. Questo cambia tutto, così come lo cambia vedere passando in Vespa una piccola trattoria in attesa inutile, tovagliette candide di carta su ogni tavolo, e sono tutti vuoti e il padrone in grembiule ti tramortisce con le sue onde di sconsolata attesa. Così come lo cambia il sole che cade nel mare di un molo al tramonto, due ragazzini si abbracciano nel riflesso e tu vorresti chiedere ai pescherecci indifferenti e immoti i segreti di una vita bugiarda. Quante volte ho fallito, quante mi sono arreso alla sconfitta, atleta distrutto che s'accascia sul prato. L'ultima volta che mio padre abbassò la saracinesca di un'aziendina che era tutta la sua vita. L'ultimo suo saluto, nel bar d'ospedale più squallido del mondo, dopo la sentenza: “Non ho paura di morire, solo di lasciare la mia bella famiglia”. E non aveva avuto un cazzo dalla vita, e io in silenzio bestemmiavo Iddio. Fuori era maggio, e c'era un sole, un sole. Una madre che all'età non cede, che vuol vivere per andare al mare, per andare a sentir l'organo in chiesa, e tu sai che è un conto alla rovescia. L'entusiasmo per arredare casa, finalmente sposi, tutto il mobilio non valeva una seggiola decente, ma eravamo pieni di fiducia. La stanchezza orgogliosa, quella domenica di giugno che avevo lavorato tutto il giorno, in trasferta per un delitto tra albanesi, e scendendo le scale della redazione, passeggiando a piedi per vicoli serali, mi sentivo d'aver trovato finalmente la mia strada. La fotografia di mia moglie, un capodanno inutile, dimenticati in casa dei miei, manco i cani così soli, lei che si sforza di fare una faccia buffa. L'ho strappata, faceva troppo male e mi sono privato di un tesoro. L'assonnata eccitazione, in piedi alle sei di mattina nel gelo di un binario, per aver conquistato una buona intervista, qualcosa di bello per chi la metterà in pagina, per chi la leggerà. E scoprirsi invece preso in giro, insultato, odiato su un forum di merda senza sapere perché. Un libro dietro un altro, un'idea appresso a un'altra, un reading via l'altro, una notte dopo l'altra... Quanti fallimenti, quanta disperazione ho respirato, e ho incontrato, ereditato, amato. Quanta m'ha infettato. Quante stagioni ho buttato via, quante illusioni ingiallite ha perso il mio albero. Salta fuori ogni tanto chi me le fa pesare, m'irride perché nessuno mi legge, perché il mio blog è un deserto. Non sanno di cosa parlano. Non sospettano che tutto fiorirà in scrittura ed è solo questo, solo questo. Non immaginano cosa succede quando ricevi una lettera che gronda lacrime. Non capiscono che questo cambia tutto, ti responsabilizza, ti fa perdere per strada il resto: io non ho neanche più voglia di litigare, e non perché qualcuno mi abbia spento. Ma perché la vita cambia tutto. La vita, con la morte che contiene, con le fontane di dolore che zampillano fuori e ti raggiungono. Ti compromettono. Sì, io sono l'isola di me stesso, ma quanto amore intercetto. Quante rinunce comprendo. Quanti sorrisi degli umili, dei vinti, che sono peggio di una coltellata. Quante volte mi son detto, ma come si può non capire l'immensa tenerezza che sale da un fallimento, l'immane tenerezza della resa? Ma non vedono che al mondo solo questo conta, questo tamponare i fiotti del dolore? Oppure sono io che non ho altro, che mi perdo perfino nella sofferenza di un randagio?
Ma ci sono davvero queste ondate di sentimento, patetiche, insanguinate croci, sgozzate urla mute che restano a rimbalzare prigioniere dell'indifferenza. Ma c'è davvero questa commozione senza ritegno e senza rimedio, che nessuno raccoglie, che langue a lasciarsi sfiorare. Ovunque mi volti agonia e paura, amarezza e rinuncia, solitudine e angoscia; dovunque io fugga, rintanato come una fiera malata mi scova il male. Il male che non dà scampo negli occhi di un gatto o di un omone che aspetta, ha un sussulto se una macchina rallenta, sembra fermarsi ma prosegue e l'omone si lascia morire su una sedia, in mezzo a quel deserto di tovagliette candide su tavolini in plastica.

Commenti

  1. Non riverso il mio dolore su questo blog, forse perchè quando lo provo, lo silenzio, però vorrei comunque dire che questo blog, negli anni, mi ha sempre spinto a guardare le cose in maniera diversa, da più punti di vista... Come da sopra una scrivania.

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  2. quoto.
    il privato è questione di carattere.
    il tuo blog è diversità e la diversità mi permette di definire la mia identità.
    leggendo questo posto il pensiero è volato al lupo della steppa di hesse. vedi tu.

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  3. Leggerti fa sentire vivo,
    aiuta a resistere, a non arrendersi,
    a non uniformarsi perdendo la propria diginità.
    Al

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  4. Anche certi messaggi aiutano a restare vivi. Grazie.

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  5. il dolore e' dignita' e chi sa comprenderlo e' uomo dignitoso , quindi libero.
    un abbraccio Mdp.
    Vp

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  6. Sì, però io da lettore di lunga data mi sono pure fatto un sacco di risate fra blog e faro, mi ricordo ancora un mitico numero con Clooney appellato "frociona al nescafè". Quella fu epica, ancora adesso la giro ad amici e colleghi quando mi tirano fuori il soggetto.
    un abbraccio e a presto
    Sandro da Seveso

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  7. Sai che mi ricordo vagamente, ma proprio vagamente della frociona al Nescafè?

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