Si è sviluppato, mi
pare, un curioso cortocircuito per cui ad alimentare davvero
l'antipolitica sono quelli che a parole santificano la politica e
vorrebbero salvarla dall'antipolitica. La faccenda, in sé
inquietante, non viene percepita a causa dell'automatismo ormai
conclamato delle scelte e di un ragionare debole ma imposto con
lingua e mentalità di legno. Guardo alla Lombardia, a Milano, il mio
mondo perduto. Milano, che da decenni non si ritrova più, che non ha
saputo assorbire l'ultima ondata migratoria, non più dalle campagne
come nel primo Novecento e poi dal sud dell'Italia come nel
dopoguerra, ma dal mondo, e che lentamente s'è arresa. Oggi la
metropoli ha il problema di una succesione decente all'incredibile
gestione Formigoni, questo miscuglio di integralismo e affarismo, e
la sinistra cosa fa? Impone un candidato di bandiera, tale Ambrosoli,
nome meneghino d'accordo, ma con quali credenziali? Che lui,
l'avvocato, è il figlio dell'eroe borghese Giorgio, l'avvocato che
si oppose a Sindona e ne venne ucciso. Un po' poco per ereditare il
Pirellone e in esso una macchina amministrativa, burocratica
mostruosa, in una delle città più importanti e peggio messe
d'Europa. Scusate, ma l'avvocato Umberto Ambrosoli dove avrebbe fatto
politica d'amministrazione finora? Quali sono le sue credenziali a
parte l'essere persona perbene? E il perbenismo sociale può fare
curriculum, può essere abbastanza davanti a responsabilità così
pesanti ad una Expo 2015 che incalza ed è ancora in alto mare?
Affiora un moralismo
felpato, insopportabile nell'antipolitica che vorrebbe salvare la
politica: ecco, vedete, ne prendiamo uno onesto, uno perbene, di
politica non saprà niente perché non l'ha mai fatta ma poi ci
pensiamo noi, ci pensa il partito, la sua macchina, i suoi apparati a
mandare avanti la baracca. Però il candidato è così perbene. Che è
come ammettere la drammatica mancanza di politici veri, presentabili,
esperti in un partito che si vanta di essere il primo nel paese.
Sarà perbene l'avvocato
Umberto Ambrosoli, perbenissimo, nessuno lo mette in dubbio, ma
questa mania di buttar dentro gli esordienti totali, tutti in ordine,
vestito sobrio ma di sartoria, faccia onesta, borghese ma non
piccolo, prediletto dalla società civile, cioè para-politica, meneghina che pesa insieme a industriali e banchieri, espressione mite, barbetta rassicurante, da ex liceale vagamente francescano in scarp de tennis, la giusta attenzione al
solidarismo cattolico, la giusta moderazione di gusti e attitudini, è
preoccupante e noiosa insieme. La sensazione è che i candidati
vengano scelti non per la preparazione specifica ma con un occhio al
pragmatismo dell'estabilishment e con l'altro al moralismo di chi fa
informazione, alla sensibilità variopinta dei giornalisti che
contano (o si presume contino). Ma non può bastare una tragedia in
famiglia del secolo scorso a dirigere giornali, a entrare alla Rai, a
prendere in mano un Pirellone traumatizzato dai Trota, dalle Minetti
e dai maglioni del Formigoni.
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