Alla fine, tutto va come
deve andare. Fecero male quanti si lasciarono convincere, con toni
melodrammatici, a rinnovare l'abbonamento al fantasma di quello che,
nel bene e nel male, era stato il Mucchio, ormai ridotto, a quanto è
dato di capire, a una Costa Concordia finita contro gli scogli. La
musica è finita, gli amici se ne vanno, non senza amarezza: li
capisco, si sono lasciati incantare un anno di troppo, io almeno mi
ero tolto dai coglioni per tempo. A proposito, c'è una cosuccia che
non mi torna: ricevetti a fine 2011 dalla
direttrice-amministratrice-editrice-stratega una telefonata in cui mi
chiedeva altro tempo per i miei compensi, e, soprattutto, mi invitava
a restare, ma gratis, del tutto gratis, completamente gratis -
ovviamente "come tutti gli altri"; adesso apprendo, di sponda, che
erano stabiliti emolumenti, tanti o pochi, per chi si è prestato nel
2012 (il fatto che poi, a quanto si sostiene, non siano stati
percepiti è un altro paio di maniche). Allora qui qualcuno ciurla
nel manico, ovvero non la contava giusta. Non che non lo immaginassi
già: ne ho bevute tante in vita mia, ma quella delle Giovanna d'Arco
che si immolano al sacro fuoco della “cultura”, era troppo
grossa. Poi sapevo che morivano dalla voglia di farmi fuori, ero
finito, e non ho mai capito come, in mezzo alla stupida faida di una piccola famiglia che si sfasciava, ed anzi mi stupii quando
venni cercato dopo la defenestrazione della vecchia direzione.
Comunque, accettai di continuare. Mi lasciarono di nuovo spazio e li ripagai con
interviste e servizi come ai “bei tempi”. E poi, a fine anno,
quella telefonata. Ci rimasi male, sapevano che ero proprio al
lumicino, che avevo bisogno di lavorare e non avevo mai chiesto
niente a nessuno. Io non mi sarei mai comportato così, neppure col
peggior nemico. Mi riservai di decidere. Quando, pochissimi giorni
dopo, cominciarono a volare gli stracci tra direttori vecchi e nuovi,
che si rinfacciavano buste paga e benefici più da Corriere
della Sera che da fanzine, decisi che sarebbe stata sprecata
anche una parola di più.
Un'altra cosa mi preme
precisare. Nell'articolo in questione, io vengo elencato, pro
tempore, tra i soci della cooperativa che permetteva alla testata di
razzolare i fondi pubblici per l'editoria. Esatto, ma non corretto:
mi lasciai inserire, dietro insistenze dell'allora direttore, ma finì lì: non venni
mai convocato ad una sola assemblea (se firme esistono, sono false), non ricevetti mai l'ombra di un
verbale, non seppi mai chi fossero gli altri soci, non fui mai
informato di niente in alcun modo, a parte i soliti generici
piagnistei sul “nun ce sta 'na lira”. Se questo è un modo
corretto di gestire una cooperativa, francamente non lo so. Del resto, è lo stesso giornale in cui il direttore promuove "vice" la sua compagna, il che altrove susciterebbe qualche perplessità. A me
veniva sempre ripetuto, tipo mantra, che eravamo “tutti nella tessa
barca” e che prendevamo “tutti lo stesso compenso”. Beh, io da
ultimo prendevo 400 euro al mese (e già avevo dovuto impuntarmi
perché non venissero ulteriormente ridotte a 200), escluso agosto, e
li vedevo a 365 giorni, cioè con un anno di ritardo: cosa, per
inciso, abominevole e illegittima a dir poco (se la Finanza vuol
prendere nota, sono disponibile a tutti gli schiarimenti del caso).
Immaginarsi la mia
delusione quando l'ex direttore ha messo nero su bianco, nella sua
autobiografia, le sue verità: ma come era possibile che gli assunti
lì dentro si assegnassero in un solo mese più di quanto io vedessi
in un anno? Come era possibile che altri “consulenti alla
redazione” prendessero quattro o cinque volte tanto rispetto
a me? E le mail continuavano, sempre più incredibili, e
ovviamente le intercettavo anch'io: le conservo, ogni tanto le
rileggo e ancora non ci credo; una in particolare mi lasciò
esterrefatto: in piena bufera, a un passo dalla liquidazione coatta, si manifestava l'intenzione di vendere l'auto, presumo aziendale, per tappare la
voragine. Cos'era, uno scherzo o
un delirio, dopo anni di sovvenzioni pubbliche?
Non ho voluto saperne più
niente: ma affogatevi, altro che "tutti nella stessa barca"... Poi ci fu l'altra
sceneggiata dell'ex direttore, che per mesi mi avrebbe supplicato di
aiutarlo in una nuova avventura, arrivando a spendere il mio nome, a
lasciarmi carta bianca per radunare una redazione di cronaca, a
mettere insieme i pezzi per il primo numero... salvo rimangiarsi
tutto all'ultimo momento con una mail neppure personale, ma copiata e
incollata (una mania, proprio) da un'altra già inviata a un altro
illuso. Lì io capii molto, se non tutto, anche del passato. E smisi, per sempre, di essere l'anima candida che ero
stato per 47 anni.
Però una cosa dev'esser chiara: povero pirla a fidarmi, ad adattarmi per 14 anni a un contesto
simile, quanto di più sbagliato per me, senz'altro. D'altra parte, quando si ha bisogno di lavorare,
si porta un pezzo di coglione per tasca. Complice, no. Se
non dell'altrui vantaggio e del mio solo danno. 400 euro al mese, a
365 giorni, dopo 22 anni di mestiere e 14 che lavoravo lì. Invece
che avanzare, i miei scatti sono regolarmente retrocessi, senza
tutele sindacali o normative che tenessero, e anche qui c'è da approfondire. È chiaro, questo? In 14
anni di trasferte, interviste, giri per l'Italia non sono mai costato
neanche un pernottamento nella più puttanesca delle pensioncine. Mi
sono sempre arrangiato da amici, a viaggiare di notte, a bivaccare in
attesa del primo treno all'alba, ed erano sempre i treni più
economici. Neanche un panino extra ho mai aggiunto. E in quel giardino
di dilettanti non ero uno qualunque, ero, piaccia o non piaccia, quello incaricato delle faccende giornalisticamente più complesse, più rischiose. Salvo un bel giorno
scoprire che cosa si rinfacciavano, in un certo senso anche sulla mia
pelle. Posso assicurare che la faccenda è molto meno divertente da vivere che da leggere. Unico sollievo, assistere, sbigottito ma finalmente estraneo, a campagne mortificanti per
“salvare il Mucchio”, ai proiettili ricevuti per posta (ma
dai...), al coinvolgimento di tanta brava gente un po' frescona che
accorreva con la chitarrina a tracolla.
Adesso apprendo di un giornale che s'inabissa, di una situazione
da ultimo ballo sul Titanic, m'arrivano voci di rinnovati, immancabili screzi, di un'aria sempre più cupa, pesante. Adesso al lumicino ci stanno loro. La cosa non mi diverte neppure, semplicemente ho sempre saputo che
sarebbe finita così. Non basta tirarsela da giornalisti, da
direttori, poi bisogna anche saperci fare. E lì dentro, spiacente,
c'era un mucchio di una sola cosa: la presunzione, irrimediabile, condita da una inguaribile meschinità.
ti ringrazio per le precisazioni, da lettore (dal 1980) rimango sempre più attonito, rivelazione dopo rivelazione, per parte tua non starei tranquillissimo, se è vero che le firme sono false è anche vero che, essendo membro avevi degli obblighi, dire "mi lasciai inserire, dietro insistenze dell'allora direttore, ma finì lì: non venni mai convocato ad una sola assemblea (se firme esistono, sono false), non ricevetti mai l'ombra di un verbale, non seppi mai chi fossero gli altri soci, non fui mai informato di niente in alcun modo, a parte i soliti generici piagnistei sul “nun ce sta 'na lira”. Se questo è un modo corretto di gestire una cooperativa..." non vuol dir nulla perchè le firme non son "firmette" , soprattutto se si ricevono milioni di € di contributi e soprattutto l'ultima tua frase citata, ti riguarda perchè con la tua inazione hai, di fatto, contribuito a gestire/far gestire una cooperativa... ovvero, se io dovessi firmare qualcosa, pretenderei di sapere tutto e di svolgere un ruolo attivo, altrimenti è come dar carta bianca a terzi e poi dover pagare noi.. per inciso, non ce l'ho con te, anzi, ma possibile che tu sia stato così ingenuo da, non soltanto averci rimesso soldi e salute, ma rischiare antipatici strascichi penali, dato che proprio tu inviti la Finanza a far chiarezza ??
RispondiEliminafossi in te mi rivolgerei ad un avvocato, non si sa mai..
Giampiero
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EliminaA me fu chiesto di aiutare la cooperativa per far vivere il giornale. Punto. Per amicizia ho detto sì. Altro non ho mai saputo, se non dopo l'autobiografia dello Stefani.
EliminaA dubitare ho imparato tardi, a farmi furbo mai.
EliminaDa anni avevo smesso di acquistare il mucchio perchè piano piano ho smesso di vedermici:Spesso tanto livore per nulla,risposte stizzose ed arroganti a lettori che educatamente esprimevano pareri contrari,dando l'impressione che fosse un pò una posa,un "marketing" per un certo "target"(certo,tra berlusconi e chiesa ci abbiam campato un pò tutti,giornalisti e lettori)e questo già ai tempi di Stefani.
RispondiEliminaSpiace per la fine ingloriosa di un giornale(ormai solo il nome) che ha dato molto agli appassionati di certa musica.
Berlusconi è stato la fortuna di tutto lo pseudogiornalismo antagonista. Salvo poi, magari, rifiutarsi di continuare a fargli le bucce per non irritare qualche amico un po' troppo compromesso.
EliminaHo letto l'articolo di Cillia;beh,nessuno è un santo,ma Stefani come DiPietro....questa poi.
RispondiEliminaQuello di Del Papa è un resoconto lucido e chiaro dei tanti anni di vacche grasse vissute al Mucchio da pochi eletti grazie alle ricchissime prebende statali. Nonostante ne sia stato per tanti anni un lettore, quando l'anno scorso è partita la campagna abbonamenti per "salvare" la rivista mi sono guardato bene dal parteciparvi. Giornali come Rockerilla, Rumore o Blow Up riescono a sopravvivere con dignità senza contributi all'editoria, senza piangere miseria ogni mese e senza richiedere ai lettori "atti di fede" e mobilitazioni collettive: quelli del Mucchio prendano esempio.
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