Risplende il pavimento
della Galleria, l'Ottagono cuore di Milano, il Salotto come lo
chiamano i milanesi, la luce gialla dei globi gli casca addosso,
accende i suoi mosaici, le sue figure mitiche, i suoi stemmi e le
allegorie, rimbalza nell'aria e mi abbaglia, mai vista scintillare
così, ci passo come un re tra i ristoranti di lusso chiusi, la
Libreria Bocca chiusa ma che rimane aperta “Grazie al sindaco
Pisapia”, come reca un cartellone in vetrina, al Megastore Ricordi
che s'è ingoiato l'orrido Mc Donald's, alle vetrine dai marchi
prestigiosi, insegne rigorosamente oro su fondo nero. Siamo due re,
io e il mio buon amico Tony, unici sovrani di questo gioiello
eclettico ora derelitto, sono le 3 in punto, le tre del mattino e c'è
solo un ometto col giubbotto rifrangente che passa la spazzolatrice e
tira a specchio i mosaici e le figure, anche quella del toro coi
coglioni da pestare ma che non si possono più pestare perché ci
hanno messo sopra l'adesivo di una ditta di traslochi. Tony scatta
una foto del salotto presa dall'entrata di piazza della Scala, una
coppietta spuntata dal nulla ci imita e risvanisce nel nulla.
Dall'altra estremità, quella del corso Vittorio Emanuele, arrivano
degli urli da matto e infatti è un matto, con una gran testa di
capelli a cespuglio, che caracolla dietro ai propri demoni. Milano è
deserta. Il centro è deserto, lo giriamo a piedi, risaliamo fino a
san Babila, torniamo indrèe, pigliamo via santa Radegonda, sbuchiamo
davanti al Luini dai panzerotti che costano come tartufi,
c'inoltriamo nel Quadrilatero, la mitica via Monte Napoleone dove
nell'unico posto per disabili c'è una Ferrari abbandonata, passiamo
in via sant'Andrea, via Bigli, ancora palazzo Marino imbandierato e
incustodito e mi diverto a lanciare una voce che si disperde nel
vuoto, nell'indifferenza di Leonardo da Vinci che ci volge le spalle,
Tony beve dalla fontanella che fa zampillare mettendo il dito sotto
al rubinetto come usavamo da sbarbati, ancora sotto la Madunina e non c'è
l'ombra di un'ombra. Non un assassino, un povero, due amanti. Altro
che Movida, il centro del centro di Milano di notte è di chi lo
pulisce, cartari che ammucchiano enormi sacchi trasparenti, spazzini,
spazzolatori, lucidatori di vetrine, ecco i primi, sono ormai le 4,
che strofinano diligenti e senza espressione i vetri dei bar che tra
poco apriranno.
Questa notte non abbiamo
voglia di andare a dormire e non ci andiamo, abbiamo solo queste
poche ore, solo questa notte che ci attende da 30 anni, da quando me
ne sono andato da Milano. Tanti ritorni, ma sempre mordi e fuggi,
alla milanese, per qualche impegno senza avventura. Ma questa notte è
diverso, mi sono convinto a partecipare ad una di quelle cose da
evitare che sono le rimpatriate, tutti i ragazzi di Lambrate, quelli
delle partite in piazza Gobetti o al parco Lambro, quelli del
crescere sfiorando la felicità. Ragazzi che adesso stentano a
riconoscersi, il tempo cancella, qualcuno è cambiato davvero
troppo. Siamo a cena e provo una tenerezza maledetta, a tratti uno
sgomento che mi fa venir voglia di alzarmi e andar via come un ladro,
se anche loro mi vedono come io li vedo, allora è la fine. È per
questo che faccio l'unica cosa che si può fare e non si dovrebbe
fare in questi casi, mi rifugio nel passato, negli aneddoti che tutti
conoscono, ricordano, hanno rimosso, e adesso fingono con grandi
muggiti di non voler sentire e invece non aspettano altro. Ed io
racconto, e anche gli altri raccontano, ed ogni episodio è una
stilettata perché stiamo parlando di fantasmi, uomini canuti che
agitano spettri di bambini. Fa male. Ma li stiamo disperdendo con le
facce avanzate di oggi. Poi usciamo e mi diverto a stuzzicarne uno
sulla politica. Lui ci casca e ne esce una discussione da osteria, da
vecchi in capannello in piazza Duomo, già sopra di noi qualche luce
s'accende minacciosa. È meglio che ci salutiamo, che si gela, e
tutti - “Vediamoci, sentiamoci più spesso” - si sono rotti i
coglioni e hanno fretta di sparire.
Ed è qui che comincia la
mia notte. Saliamo in macchina, arriviamo fino a Como, Cristo santo,
torniamo indietro passando per Monza, che è deserta, Sesto non
parliamone, rientriamo a Milano, la giriamo tutta ed è vuota, una
città morta, semafori che occhieggiano a tram randagi, a macchine
cariche d'incognite. E poi lasciamo l'auto e camminiamo, che non fa
neanche freddo, ed io passeggio come un re per la città che non ho
avuto mai e allora vengono fuori i discorsi seri, le confessioni, i
bilanci che grondano sangue e penso che erano 30 anni che non
c'infilavamo lungo una notte così, però adesso l'abbiamo tirata più
lunga, fino all'alba non c'eravamo mai arrivati, neanche nella rabbia
dei nostri 18 anni, solo che allora i discorsi non erano questi, non
facevano così male, non spaventavano tanto e io vorrei non avere mai
avuto tutta questa vita, tutta questa morte, tutta questa esperienza
che non mi serve a un cazzo.
A Milano ci torno più spesso di te (sempre meno, però) ma sono capitate anche a me notti così. E quando cominci a veleggiare sui 50 le sensazioni sono quelle che hai descritto. Sotto questo aspetto ho già dato, avendoli superati da qualche anno. Il senso dell'inutilità dell'esperienza rimane, insieme alla malinconia. Anche perché Milano mette davvero tristezza, oggi.
RispondiEliminaIo a Milano sono riuscito a lavorare...quasi 10anni, nel 1998 con altri artigiani riuscivamo ad organizzare mercatini in Corsia dei Servi (per intenderci sotto il MC Donald ora ingoiato dalla Ricordi) che ci permettevano di superare l'inverno. Eravamo circa 15 e con 5.000,00 euro (diviso 15) facevamo 30gg di lavoro e pagavamo persino una guardia notturna...ora dopo la Moratti ma sopratutto con Pisapia, un posto in centro viene a costare circa 10.000,00 euro a testa, e solo con la tessera di categoria ASCOM o giù di li... già allora la serrata era dopo le h.19, i passaggi interni a V. Emanuele chiudevano i cancelli per non far dormire i barboni che trovavano rifugio sotto i nostri gazebi e forse facevano un po' la guardia. Noi chiudevamo alle 10 di sera, ora anche volendo non te lo fanno fare, perchè permessi per lavorare in centro ormai non te ne danno più (nonostante riempissimo sempre di merce le borse di alcuni impiegati vicini ai funzionari)se non ti iscrivi al sindacato e sopratutto se non conosci qualcuno nel sindacato...poi c'è ancora "IL PADRINO" quello con gli auto negozi rossi, quello dei dolci siciliani, che non ha parlato e che a suo tempo...non ha mandato in galera alcuni vigili. lui i posti li ha ancora e dappertutto...ma questa è un'altra storia...da bere...mauro
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